Dylan Dog 382 – Il Macellaio e La Rosa | Recensione

Pubblicato il 30 Giugno 2018 alle 15:00

Un giallo che ha come protagonista un romanzo che racconta qualcosa che nessuno sapeva…

Tac, tac, tac: risuonano i rumori della macchina da scrivere sulle didascalie del numero di luglio 2018 di Dylan Dog. Il nuovo albo, pubblicato da Sergio Bonelli Editore, si apre con una storia nella storia, una narrazione talmente pregna di immagini splatter e crudeli che riesce a far star male “addirittura” l’ex-ispettore Bloch.

Il Macellaio e La Rosa richiama un connubio tra dolcezza e violenza, un’unione che potrebbe indicare il malfattore della storia come un personaggio delicato che persegue la bellezza nelle sue vittime, inserendole all’interno di un disegno artistico del colore del sangue. In seguito alla lettura di un romanzo, intitolato Butcher’s Dream, Bloch trova delle strane somiglianze tra la trama e il protagonista di un cold case, Daddy Slasher, un assassino armato di machete autore di una dozzina di delitti, i cui metodi non sono mai stati pubblicati sui giornali. Come ha fatto l’autrice Emily Ray ad aver ricreato perfettamente quelle scene del delitto all’interno di un’opera letteraria? Che sia realmente lei l’assassina che Scotland Yard cerca da più di 30 anni? Si riapre così un vecchio caso, avvenuto nel periodo in cui Dylan scelse di non far più parte della polizia britannica. 

Un caposaldo della narrazione classica di Dylan contro una new entry, ovvero lo sceneggiatore Pasquale Ruju contro il disegnatore Fabrizio Des Dorides. La combo dei due autori alza l’asticella dell’essenza dark tipica di Dylan Dog, basata su un gioco di chiaroscuro netti, accompagnati sporadicamente da grigi per accentuare le rotondità dei volti e creare tridimensionalità negli oggetti. Si passa dall’uso principale di grigi nelle immagini tratte dal libro di Emily May a un uso netto di spennellate nere, che rendono l’azione ancora più frenetica, sfuggevole e movimentata.

L’intreccio pare lineare fin dall’inizio: già dalle prime pagine si rischia di sbadigliare e criticare la narrazione come qualcosa di già visto e già letto. Invece il bello della scrittura di Ruju è il ribaltamento della narrazione originale, che fa esclamare al lettore «Ma certo, non poteva andare altro che così! Come ho fatto a non pensarci prima?». Sia chiaro che questo non è sintomo di una storia già vista e già letta: al contrario, è un sentimento simile a quello che ci pervade alla fine di un film di Dario Argento (che, guarda un po’, troveremo nel n° 383 di Dylan Dog), ovvero un completo capovolgimento della storia che svela il vero assassino solo dopo che il regista ha portato il pubblico a credere che l’assassino fosse un altro personaggio. Lo sceneggiatore attinge a piene mani tutti gli elementi normali e paranormali del mondo di Dylan Dog e li modella in due storie parallele che diventano tangenti sul finale.

Una colonna sonora ideale da accompagnare a questo albo dev’essere necessariamente composta da pezzi che uniscano grindcore, black e trash metal: sono perfette band come Caninus, Dethklok e, prendendo subliminalmente il consiglio di Des Dorides (cercatelo all’interno dell’albo!), Venom, con il loro brano “Assassin”. Una sferzata di freddo metal, ottimo per spezzare la calura estiva, incentivato anche dalla copertina quasi completamente bianca a opera del’indiscusso Gigi Cavenago.

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