Big Fish & Begonia di Liang Xuan e Zhang Chun | Recensione in anteprima
Pubblicato il 20 Giugno 2018 alle 20:00
Arriva finalmente in Italia l’epico fantasy cinese dell 2016 prodotto, scritto e diretto da Liang Xuan e Zhang Chun.
Nonostante la produzione di Big Fish & Begonia – del 2016, un clamoroso successo in patria con oltre 550 milioni di yen incassati a fronte di un budget di 3o – sia in tutto e per tutto cinese, partendo dagli autori per arrivare fino ad ogni membro del cast, è impossibile non notare per tutto il corso del film l’influenza del maestro Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli. In ogni singola inquadratura, per tutti i suoi 105 minuti, l’epico fantasy cinese vuole emulare quelle immagini poetiche, quello stile pittorico/artistico così evocativo, fantasmagorico e magico, e anche a livello narrativo non si discosta poi molto dall’amalgama fra favola, mitologia ed ecologia che ha caratterizzato tutta la filmografia dell’autore giapponese e del suo studio cinematografico.
La coppia di registi esordienti Liang Xuan e Zhang Chun, pur unendo le loro forze, non riescono mai a raggiungere le vette di Miyazaki, ma il loro film è talmente ricco e denso, talmente sfavillante nel suo voler abbagliare lo sguardo dello spettatore attraverso la propria visione stilistico-artistica, da risultare più che soddisfacente per quanto la storia narrata sia a tratti confusa e poco immaginifica e/o coinvolgente rispetto alle fiabe visive prodotte da Ghibli.
Chun è una divinità con le sembianze di una giovane ragazza. L’essere vive in un mondo parallelo rispetto a quello umano ma legato ad esso (ne controlla le maree e le stagioni), un mondo nascosto sotto la superficie del mare dove lo specchio dell’acqua diventa il cielo e dove ogni cosa è amministrata da rigide ed inviolabili regole cosmiche. Tra queste vige un obbligo, il più ferreo e intrasgredibile fra tutti: quando i giovani dèi, alla soglia dei sedici anni, verranno chiamati a visitare il mondo degli umani per conoscerlo meglio ed essere così in grado di amministrarlo, non dovranno mai e poi mai avvicinarsi troppo ad essi, e l’unica cosa che gli sarà consentita sarà quella di guardarli da lontano.
Per raggiungere la superficie gli dèi si tramutano in delfini e viaggiano verso il mondo umano. E’ qui che la giovane Chun incontrerà Kun, un giovane pescatore: tra i due accadrà qualcosa di inaspettato che li legherà profondamente l’uno all’altra, e insieme i due giovani andranno incontro a gravi pericoli. Pur di non lasciare il ragazzo, Chun sarà disposta a sfidare il suo mondo e le regole totalitarie che lo caratterizzano, ma la convivenza fra dèi ed esseri umani non potrebbe portare a conseguenze catastrofiche e senza possibilità di ritorno.
Da un punto di vista visivo il film – che mescola CGI e disegni a mano – è sempre una meraviglia, una di quelle opere delle quali si potrà godere maggiormente tramite l’edizione home-video, così da poter mettere in pausa la narrazione per ammirare le splendide immagini e la favolosa tavolozza di colori (spesso caldissimi, nonostante l’ambientazione marina possa far pensare altrimenti).
Proprio la narrazione è il punto debole dei due registi, che sembrano meno sicuri quando si tratta di raccontare la storia rispetto a quando devono disegnarla: se da un lato, quando meno, dimostrano di essere in grado di sviluppare il rapporto fra i due protagonisti senza l’utilizzo di dialoghi e soprattutto bilanciare bene il pathos di una vicenda priva di un antagonista ben definito (potrebbe essere un grosso deficit, ma qui non pesa troppo), dall’altro però ricorda troppo e troppo spesso altri film molto più noti, come il recente La Forma dell’Acqua, La Tartaruga Rossa o La Città Incantata.
Probabilmente una più profonda conoscenza della mitologia cinese porterebbe benefici alla comprensione dell’opera, ma in più di un’occasione lo svolgimento sembra voler essere molto più complesso di quanto in realtà non sia. I film di Miyazaki, per quanto profondi, intellettualmente stimolanti, drammatici ed emotivi, sono sempre semplici ed estremamente lineari da seguire. Liang Xuan e Zhang Chun vogliono complicare un po’ le cose con una trama lievemente sconclusionata e confusa, che però compensa i suoi punti oscuri con immagini luminosissime e abbacinanti.