Making Fun: The Story of Funko | Recensione

Pubblicato il 14 Giugno 2018 alle 20:00

Il documentario sulla storia dell’azienda produttrice dei Funko Pop è disponibile su Netfix dal 24 maggio.

Più che un’azienda è una comunità. Il loro motto è semplice: “Per poter produrre un oggetto lo devi prima amare”. Questo tipo di filosofia, che ha accompagnato moltissime grandi aziende americane (Apple su tutti), è stata alla base per la nascita della Funko.

Quella che oggi è riconosciuta a livello mondiale come la casa di produzione dei tanto amati Funko Pop, è nata vent’anni a Everett, cittadina nello Stato di Washington, ad opera di Mike Becker, come piccola impresa di produzione di “pupazzetti con le teste rotolanti”. I creatori della Funko erano essi stessi collezionisti ed amanti di giocattoli (tanto che Becker era solito girare in lungo ed in largo per la nazione alla ricerca di oggetti retrò).

Lo spirito nerd, e la voglia di creare una comunità soddisfatta delle produzioni che strizzavano l’occhio a nostalgici e collezionisti è al centro del documentario Making Fun: The Story of Funko, documentario da poco uscito su Netflix, e che esplora non solo le radici delle Funko figure, ma di tutta la cultura nerd.

Infatti, nel corso del documentario vengono proposte interviste, a personaggi noti (da Alice Cooper a Kevin Smith, da Robert Englund a Kirk Hammet), e meno noti (tutti appartenenti alla comunità dei Funatic), che hanno sempre vissuto in maniera viscerale l’amore per la cultura pop, e per tutto ciò che ne potesse far parte. Ed i più famosi tra loro oggi possono mostrare con orgoglio una riproduzione di sé stessi in versione Funko Pop.

Il regista David Romero, utilizzando uno stile documentaristico puro (fatto d’interviste e immagini di repertorio, senza ricostruzioni e parti recitate) cerca di mettere al centro di Making Fun il senso di profonda devozione che ha spinto sempre più in là sia gli appassionati, che gli stessi creatori della Funko.

L’attività di Mike Becker e dei suoi (pochi) soci nacque nel 1998 con molta passione, pochi mezzi, e nessuna licenza. I Wacky Wobblers furono la prima serie Funko ad andare in produzione: si trattava di pupazzi con le teste rotolanti che ritraevano i personaggi delle prime licenze che l’azienda riuscì ad acquisire a quei tempi (tra le quali Betty Boop e Cap’N Crunch). In seguito ad i primi successi di vendite nacquero gli eventi tematici che celebravano la piccola comunità che si stava creando attorno ai Funko (ribattezati Funatic).

Ma fu il passaggio di consegne tra Mike Becker e Brian Mariotti nel 2005, che diede la grande svolta all’azienda. Mariotti ebbe la capacità di acquisire licenze molto prestigiose (Star Wars su tutte), e grazie ad una collaborazione con Dc Comics nel 2007 produsse i primi Funko Pop. Inizialmente i Funatic non apprezzarono le figure in vinile (dallo stile decisamente kawaii), ma decisero di supportare comunque il nuovo progetto. E la scelta si rivelò vincente.

Il grado di nerdaggine all’intero di Funko è estremo, sia da parte di chi ci lavora, che di chi li colleziona: la cura dei dettagli dei designer chiamati a realizzare i giocattoli in vinile è estrema, così come la spasmodica ricerca del pezzo da collezione mancante da parte dei Funatic.

Colpisce tantissimo l’amore per la cultura del Ceo Mariotti (impressionanti sono le statue a grandezza naturale del Batman della Silver Age con i completi arcobaleno, presenti nel suo ufficio).

Il regista David Romero pone massima attenzione alla narrazione del percorso che ha portato Funko dalla sua nascita, come piccola impresa a conduzione familiare, fino alla trasformazione in mega multinazionale. Parecchie sono le immagini ed i video di repertorio, così come le interviste che coinvolgono comuni appassionati, e celebrità varie. Inoltre si può assistere ad una gustosissima ed ampia gamma di riprese che mostrano collezioni invidiabili da Guinnes dei primati.

Interessanti sono anche le piccole storie proposte all’interno del documentario: come l’incontro tra Nichelle Nichols, la Uhura di Star Trek, e la Funatic capace di superare una grave malattia, grazie anche all’amore per i Funko e per la saga creata da Gene Roddenberry.

Insomma, un documentario che non scontenterà affatto gli appassionati di cultura pop, e di collezionismo nerd, e che si pone in continuità con la serie (di cui è appena stata proposta la seconda stagione) i Giocattoli della Nostra Infanzia, anch’essa inserita da Netflix Italia nel proprio catalogo.

Perché la cultura nerd è un vero e proprio stile di vita, capace di creare un forte senso di comunità, senza porre vincoli razziali, religiosi e sessuali. Uno sguardo ed un punto di vista verso quello che potrebbe essere un mondo migliore.

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