Jurassic World 2 – Il Regno Distrutto di J.A. Bayona

Pubblicato il 9 Giugno 2018 alle 12:00

Il quinto capitolo del franchise con protagonisti i dinosauri è nella sale italiane dal 7 giugno!

“C’è sempre un pesce più grande.”

Lo diceva il Qui-Gon Jinn di Liam Neeson nel primo atto de La Minaccia Fantasma, impartendo una lezione (se mai La Minaccia Fantasma possa permettersi di impartire lezioni a chicchessia) che il suo giovane padawan Obi-Wan Kenobi, impersonato da Ewan McGregor, non avrebbe più dimenticato.

Il riferimento era all’enorme mostro marino che rischiava di divorare la navicella acquatica dentro la quale i due Jedi stavano attraversando le profondità del pianeta Naboo insieme all’insopportabile Jar Jar Binks: l’inseguimento terminava quando un altro mostro marino, molto più gigantesco di quello che voleva cibarsi dei nostri eroi, sbucava da una grotta e azzannava il primo con rapida voracità. E a quel punto, con la sua placida, eloquente ironia, il saggio maestro recitava la sua battuta: “C’è sempre un pesce più grande”.

ATTENZIONE L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER!

Questa frase è tornata a tormentarmi durante la visione di Jurassic World – Il Regno Distrutto, nuovo capitolo della saga creata da Steven Spielberg che vede alla regia il bravissimo J.A. Bayona. All’inizio ho pensato che il ricordo fosse stato innescato dalla lunga e bellissima scena introduttiva, che parte subacquea e molto ha a che vedere con mostri marini mastodontici. Ma più il film progrediva, più la voce di Qui-Gon Jinn continuava a parlarmi nella testa. E più il maestro Jedi mi parlava, più la mia opinione sul film di Bayona si faceva chiara.

Se è vero che c’è sempre un pesce più grande, allora ce n’è uno anche per Il Regno Distrutto, ma per il film di Bayona il pesce più grande non è il Jurassic World del 2015, uno dei maggiori successi commerciali di tutti i tempi (fino all’altro ieri era il quarto film più visto di sempre, ora è quinto, scalzato in classifica da Infinity War). Né tanto meno l’originale Jurassic Park di Spielberg: sarebbe troppo facile metterla in questo modo, e anche un po’ scorretto se vogliamo, perché competere col passato non è solo improbo, ma proprio impossibile. Il passato è passato e sta lì per non cambiare mai, sempre a disposizione. No. Il pesce più grande è quello che deve ancora arrivare, quello nascosto in una grotta marina pronto a sbucare fuori all’improvviso per divorarti senza pietà.

In questo senso, il film di Bayona diventa perfetto: ragionando come secondo tassello di una storia che si concluderà solo nel capitolo successivo (ormai il cinema pop si fa così) Il Regno Distrutto sacrifica se stesso per preparare il terreno a Jurassic World 3. Ciò non vuol dire che sia un pessimo film: l’unico problema di questo capitolo due (o cinque, se contiamo la trilogia originale) è che chiede troppo spesso al pubblico di alzare la soglia della sospensione dell’incredulità (perfino per un film incentrato su dinosauri geneticamente risorti); soprattutto durante il secondo atto, accadono tutta una serie di cose incongruenti o per lo meno difficili da accettare a livello drammaturgico, e spesso e volentieri gli avvenimenti vengono tirati per i capelli affinché vadano in una direzione precisa.

Però il film deve farlo necessariamente, perché bisogna arrivare al terzo atto con tutte le pedine posizionate esattamente dove ci era stato promesso che sarebbero state (meglio: profetizzato) nel primo atto dal professor Ian Malcolm di Jeff Goldblum (che torna nella saga dopo Jurassic Park 2 – Il Mondo Perduto): l’umanità rischia grosso a scherzare con le leggi naturali, e continuando così l’estinzione è inevitabile. Lo dice il buon Ian Malcolm e il pubblico ci crede, e come Bayona enfatizza quella scena ci fa capire che, forse forse, è lì che la Universal vuole andare a parare.

Del resto il titolo della nuova saga è chiarissimo. World. Non più Park. I limiti del parco sono diventati troppo stretti per le ambizioni del franchise.

Un altro personaggio – questa volta la new entry Eli Mill, impersonato da Rafe Spall – dirà una frase che mi ha colpito molto, e che penso riassumi in pieno il senso del film: “Gli introiti di Jurassic World servivano soltanto a finanziare i nostri progetti futuri”. Eli Mill dice così, nel secondo atto del film di Bayona. La frase è inequivocabile, è la Universal che ci sta parlando, e quello che ci sta dicendo è che l’unica cosa che conta è il futuro.

Ecco forse spiegato quindi il perché continuassi a pensare a Star Wars durante la proiezione: Bayona con Il Regno Distrutto fa esattamente quello che Rian Johnson ha fatto con Gli Ultimi Jedi, ovvero interrompere il legame dialettico coi film precedenti e soprattutto con i fan di quei film, per iniziare a rivolgersi ai fan di adesso e soprattutto a quelli che verranno. Mancanza di rispetto? Tradimento? E allora? I fan di ieri hanno già dato, e ora bisogna conquistare quelli di domani usando gli introiti dei capitoli passati per “finanziare i progetti futuri”, come dice Mill. Con buona pace dei fan (ricordiamolo: fan è sempre un’abbreviazione del termine anglofono fanatic).

Alternando la spettacolarizzazione visiva che ci si aspetta da un monster movie come Jurassic Park con le atmosfere gotiche-quasi-horror tipiche del fantasy spagnolo (il topos della giovane protagonista intrappolata in casa: il regista di The Orphanage e Sette Minuti Dopo Mezzanotte si conferma il miglior figlio putativo di Del Toro), Bayona realizza un gioiello di intrattenimento meno splendente e perfetto del bel Jurassic World, ma godibilissimo in più di un momento (soprattutto nel finale) e, nonostante alcune fiacchezze in sceneggiatura (soprattutto nella parte centrale, ma volendo spezzare una lancia in favore di Colin Trevorrow, autore del copione insieme a Derek Connelly, c’è da dire che non c’è mai una situazione che si ripete, dal punto di vista dell’azione ci troviamo di fronte a tantissima varietà) sempre impeccabile dal punto di vista formale. Si vede la passione di Bayona, si vede la sua energia ed è impossibile non notarne l’enorme talento (il long take sott’acqua è sensazionale).

E’ un film anche molto inquietante, inoltre, con il colpo di scena sull’identità della giovane Maisie che è perfetto per ampliare il discorso etico e morale alla base della saga (e l’espressione che esibisce la piccola Isabella Sermon quando scopre di essere un clone è spettrale, il modo in cui sgrana gli occhi è fortissimo e spaventoso, e resta dentro come restava lo sguardo scioccato di Mélissa Désormeaux-Poulin alla fine de La Donna Che Canta).

Infine – e questo è interessante, perché ci spiega quanto il franchise voglia arrivare a parlare al più ampio pubblico possibile, dagli Stati Uniti alla Cina – Il Regno Distrutto è un film assolutamente scevro da qualsiasi argomento politico/sociale attuale: non parla tanto del mondo di oggi ma di noi che lo popoliamo, della nostra hybris e di quanto essa rischi di costarci caro. Addirittura ci dice che Trump, noto anti-ambientalista, tifa per i dinosauri: all’inizio, in una delle breaking news, si può chiaramente leggere che il “presidente USA si schiera a favore dell’evacuazione dei dinosauri”: completamente avulso dai tempi che stiamo vivendo, ma concettualmente azzeccato nel contesto della saga cinematografica.

Che, a questo punto, si trova ad un bivio. E se la Universal, col prossimo film, sarà abbastanza coraggiosa da realizzare La Terra dei Morti Viventi ma coi dinosauri, beh. Solo tanti, tanti applausi.

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