Non C’è Bisogno di Presentazioni – Con David Letterman | Recensione
Pubblicato il 3 Giugno 2018 alle 15:00
Gli episodi del Non c’è Bisogno di Presentazioni – Con David Letterman sono stati pubblicati sulla piattaforma streaming a partire da gennaio fino ad oggi.
David Letterman è uno di quei tipi che non molla. Non lo ha fatto quando Nbc nel 1993 gli preferì Jay Leno per il The Tonight Show, spingendolo a spostare il suo Late Show su CBS. E non lo ha fatto neanche dopo quel 20 maggio 2015, dopo aver annunciato un pensionamento che in molti credevano non sarebbe durato a lungo.
Così a tre anni di distanza da quell’ultima puntata (i cui ospiti furono Alec Baldwin, Tina Fey, Jerry Seinfeld, e l’immancabile Bill Murray) eccolo approdare su Netflix, con uno show diviso in sei episodi (trasmessi una volta al mese a partire da gennaio fino ad oggi), da un’ora l’uno, all’interno dei quali il buon David ha inserito tutto il suo repertorio, e molto altro di più.
Perché diciamocelo chiaramente: il Late Show su CBS era diventato ormai un prodotto preconfezionato. Di grandissima qualità, ma sempre preconfezionato. Gli spazi di manovra dell’anchorman americano erano piuttosto ridotti, ed il tempo dedicato alle interviste (dieci, massimo quindici minuti) non permetteva grandissimi spunti. Negli ultimi anni molte conversazioni si riducevano ad una serie di aneddoti raccontati dai vari ospiti, che Letterman sapeva rendere efficaci, alternandoli con gag, e spazi musicali della big band di Paul Shaffer. Insomma, un ottimo programma televisivo, ma privo di spunti importanti.
Il ritorno di David Letterman su Netflix è stato invece qualcosa di diverso e… significativo.
“SEI L’UNICO PRESIDENTE CHE ABBIA MAI RISPETTATO”
Il primo episodio del Non c’è bisogno di Presentazioni- Con David Letterman ha avuto come ospite l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, alla sua prima apparizione “televisiva” dopo l’uscita dalla Casa Bianca. Una prima puntata che aveva fatto capire al pubblico che l’ex presentatore del Late Show aveva alzato la posta.
Libero dalle logiche televisive, ed anche da una certo tipo di politically correct, Letterman ha iniziato la chiacchierata soffermandosi sulle “marce di Selma” del 1965, e sull’impatto che quelle storiche giornate hanno avuto sugli afroamericani, e sulle persone di colore nel Mondo. Letterman ha dimostrato anche un certo cambio d’approccio mentale (oltre che estetico, grazie ad una lunga barba hipster) rispetto al passato: più riflessivo, anche nei confronti di sé stesso.
L’apice si è toccato quando, con una certa amarezza, ha dichiarato:«Negli stessi giorni in cui si stavano svolgendo le marce di Selma, io ero in viaggio per la Florida con i miei amici. Eravamo minorenni, e volevamo raggiungere le Bahamas, che erano l’unico luogo vicino agli Stati Uniti in cui non c’erano limiti di età per l’acquisto di alcolici. Oggi rimpiango di non essere stato a Selma anch’io».
Letterman è sembrato rimproverarsi, oltre che un goliardico spirito giovanile, anche una certa incoscienza storica da parte degli americani bianchi della sua generazione. Molte di queste persone oggi appoggiano il Presidente Donald Trump e quel nostalgico: “Make America Great Again”, che ha riutilizzato lo slogan elettorale anni Ottanta di Ronald Regan, così lontano dalle marce di Selma, da Martin Luther King, e dalle rivolte degli anni Sessanta (ed a pensarci bene i vent’anni di distanza che separano l’epoca degli Hippie da quella degli Yuppie sono uno spartiacque temporale breve, ma ampissimo a livello di approccio economico, culturale e politico alla società americana).
Durante i sessanta minuti di puntata Letterman ed Obama hanno parlato a tutto campo, toccando anche temi più intimi: con l’ex presidente che ha sottolineato l’importanza delle figlie, mentre l’ex conduttore televisivo si è rammaricato di essere diventato padre troppo tardi (ha un figlio nato nel 2003).
Perché il David Letterman del Non C’è Bisogno di Presentazioni è un personaggio crepuscolare e malinconico, ma anche vitale, tenace e più politicizzato che mai. «Sei l’unico presidente degli Stati Uniti che abbia mai rispettato» ha confidato ad Obama prima di accomiatarlo.
UN FILANTROPO A HOLLYWOOD
Significativi sono stati anche gli spunti nati nel corso dell’episodio che ha avuto come protagonista George Clooney (e non a caso Letterman ha scelto un filantropo con un forte senso ideologico come personalità del mondo hollywoodiano da mettere in risalto).
Quando ad inizio puntata Clooney e Letterman si sono intrattenuti a guardare gli aerei volare in cielo, consumando cibo da fast food, sono tornati alla mente i grandi siparietti che il buon David era solito organizzare con gli ospiti migliori (Bill Murray su tutti) durante il Late Show. Ma la filantropia è stata il vero leitmotiv della puntata: Letterman ha spesso fatto soffermare Clooney sul suo senso di solidarietà, e su quanto sia stato decisivo il contributo dei genitori (soprattutto dal padre) per la sua educazione. Significativo, in questo senso, è stato il momento in cui l’anchorman si è recato in Kentucky, nella città natale di Clooney, dove ha avuto modo di conoscere un giovane rifugiato iraqeno, ospite della cittadina, proprio su iniziativa della famiglia Clooney.
Insomma, un David Letterman che non ha lasciato nulla al caso, e che in maniera sottile si è dimostrato più ideologico e politicizzato che mai: pronto a evidenziare (senza mai dichiararlo apertamente), quanto la visione ultra-conservatrice di Trump sia totalmente opposta ad un certo tipo di Stati Uniti che molti cittadini vivono e desiderano.
UNA MILLENIAL FUORI DAL COMUNE
Ma l’episodio simbolo della stagione è stato quello che ha avuto come protagonista Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice di un premio Nobel per la Pace. Nel corso della puntata l’ex presentatore del Late Show non ha risparmiato la sua verve umoristica (qui più marcata che mai) lasciandosi andare ad alcuni siparietti, soprattutto durante la visita alla Oxford University, luogo in cui Malala sta portando avanti gli studi.
La premio Nobel pakistana si è dimostrata per molti versi una ragazza più che normale, simile a molte altre Millenial. Ma ha anche avuto modo di mettere in evidenza la sua “specialità”, raccontando la (sua) storia di ex bambina con gli occhi troppo aperti per sopportare le restrizioni del regime talebano in Pakistan. E così come nella puntata con Clooney, Letterman ha spesso spinto Malala a sottolineare l’importanza dei genitori (soprattutto del padre) per la formazione del suo modo di pensare e di approcciare la vita.
Meno esplosivi invece sono stati gli ultimi tre episodi (anche se non sono mancati gli spunti). Durante la puntata con ospite Jay-Z, rapper nato e cresciuto nelle periferie newyorkesi, la questione razziale (e razzista) è stata, come si prevedeva, al centro della conversazione, e Letterman si è lasciato anche un po’ andare anche a qualche critica, più o meno esplicita, nei confronti di Trump («Sto perdendo fiducia in quest’amministrazione» ha dichiarato facendo scoppiare una risata generale, così come se si trattasse del segreto di pulcinella).
Più intimista e aneddotica invece è stata la puntata con l’autrice e comica Tina Fey, durante la quale è stato menzionato l’episodio dello “sketch della torta” al Saturday Night Live, messo in scena dalla Fey dopo la sparatoria di Charlottesville, e che le costò qualche critica e incomprensione.
Mentre l’ultima puntata, che ha avuto come ospite il conduttore radiofonica Howard Stern è stata utile per aprire una nuova parentesi su Trump. Stern infatti ha spesso ospitato l’attuale Presidente degli Stati Uniti in radio, e davanti a Letterman ha dichiarato:«Lui è il miglior ospite che si possa avere in un programma radiofonico, perché quando parla non ha filtri. Ma non credevo che volesse seriamente candidarsi alla presidenza, tanto che durante la campagna elettorale gli ho dovuto dire che ero dalla parte di Hillary Clinton. Del resto in passato anche lui lo era stato».
Insomma, tra ospiti di grido ma dal forte senso ideologico, gag, filmati in cui nulla è lasciato al caso, e conversazioni mirate ad enfatizzare alcuni messaggi, il David Letterman visto in questi mesi su Netflix è stato il più crepuscolare e malinconico, ma anche il più libero, tenace e politicizzato mai visto fino ad ora. La piattaforma streaming (che non a caso ha appena firmato un accordo con Barack e Michelle Obama per la produzione di film, telefilm e documentari) ha dato all’ex presentatore americano tutta la libertà e lo spazio di movimento che i rigidi schemi televisivi gli avevano ormai tolto (o che lo privavano di possibilità di manovra).
La prima stagione del Non c’è Bisogno di Presentazioni- Con David Letterman è stata la piacevole conferma delle grandi capacità di un anchorman unico nel panorama della storia televisiva americana e mondiale. Un personaggio capace di unire umorismo, facilità di comunicazione, senso di empatia, introspezione, e spunti di riflessione, elementi difficilmente rintracciabili in qualsiasi altro programma del piccolo schermo.
E chissà se, seguendo l’ esempio di Letterman, anche l’Italia potrà prima o poi proporre su una piattaforma streaming mondiale una voce fuori dal coro, un personaggio ormai esterno alla televisione, ma ancora vitale e capace di trasmettere, con umorismo ed efficacia, messaggi non banali e spunti di riflessione…E no, non stiamo parlando di Beppe Grillo.