Il Re Bianco di Davide Toffolo: tra vita e martirio | Recensione
Pubblicato il 31 Maggio 2018 alle 10:00
Davide Toffolo torna in fumetteria con un intimo reportage sulla vita del gorilla più famoso del mondo, edito da BAO Publishing.
Dopo aver raccontato a fumetti Pier Paolo Pasolini, Davide Toffolo torna con un intimo reportage sulla vita del gorilla più famoso del mondo e non poteva che farlo per BAO Publishing, casa editrice che da sempre dà spazio ai racconti di vita e di vite. Ne Il Re Bianco, il fumettista riproduce attraverso matita, colori e testi, l’empatia interiore creatasi tra lui e lo speciale gorilla albino dello zoo di Barcellona.
L’UOMO GORILLA
L’opera vuole raccontare il viaggio esistenziale di due persone e segue dunque il tragitto fisico del fumettista, che si reca in visita da Copito de Neve, e quello temporale, ripercorrendo le tappe della vita del rarissimo esemplare di gorilla bianco.
I due piani, inevitabilmente, si confrontano e confondono continuamente, rendendo ovvia l’identificazione tra autore e gorilla e mettendo in primo piano la sofferente esistenza di persone giudicate “diverse” dalle loro rispettive “specie” mentre, anche tra singoli apparentemente diversi, il gorilla – animale – e l’autore – uomo, la distanza emotiva e sentimentale sembra nulla.
E così Toffolo, che narra in prima persona e in prima persona compare nel fumetto, si rispecchia nelle difficoltà e nelle sofferenze patite da Copito de Neve, dalla perdita della madre al brusco trasferimento in Europa, dove il trionfale benvenuto iniziale si rivela illusorio.
DARWINISMO
Il piccolo gorilla, una volta arrivato a Barcellona viene amato, riverito e omaggiato fino a quando non mostra la sua semplice, animale quanto umana natura: defeca, e mangia le sue feci, in pubblico.
Qui il punto di svolta della narrazione, della riflessione dell’autore, che va ad abbracciare un incipit dove il problema è lo stesso, ma visto da una prospettiva diversa.
La magia dell’amore sociale finisce nel momento in cui semplicemente “esistiamo”, anche se questo non comporta male alcuno – come il gesto di mangiare le feci del gorilla, non provocatorio ma semplicemente normale; la diversità viene vista come un qualcosa di estraneo all’uomo, che deve essere lodata, e sfruttata, o temuta ma, in nessuno dei due casi, interiorizzata.
E la vita di un gorilla bianco unico e prezioso, ma costretto a soffrire e poi morire, è la metafora della vita di un uomo che vorrebbe semplicemente essere e a cui, continuamente, tarpano le ali. E’ la manifestazione concreta dell’esistenza di sentimenti più grandi della civiltà, del corpo, più grandi di tutto ciò che possiamo percepire con i nostri cinque razionali sensi.
SIAMO TUTTI SENZA COLORE
Attraverso l’espediente della specie, l’autore si interroga continuamente in prima persona sul senso della vita, cercando di rompere quegli spazi imposti e di vedere, indossando occhiali speciali, al di là delle apparenti barriere che separano gli esseri viventi, immergendosi con tutto se stesso in quel fluido energetico chiamato Universo.
Il tutto, usando l’espediente di un gorilla bianco nato re (e i colori non fanno che enfatizzare questo aspetto regale, tra momenti da martire e altri da Dio sopra il mondo, quasi a richiamare la figura di Cristo) e reso servo da uomini “vuoti” e ancora ciechi.