Fahrenheit 451 di Ramin Bahrani | Recensione

Pubblicato il 24 Maggio 2018 alle 20:00

Michael B. Jordan e Michael Shannon sono i protagonisti del nuovo film di Ramin Bahrani, Fahrenheit 451.

La storia narrata nel seminale romanzo di Ray Bradbury sembra essere talmente e indissolubilmente legata alla sua forma originaria da non riuscire a trovare una vita all’infuori del mondo cartaceo. Se François Truffaut in persona, provandoci nel 1966, non fu in grado di cavarne fuori un’opera audiovisiva indimenticabile (tra pregi e difetti, il film del regista simbolo della nouvelle vague finiva con l’essere nulla di trascendentale), diventa chiaro che la sfida che si sono trovati di fronte HBO e il regista persiano Ramin Bahrani (Man Push Cart, Chop Chop) nel riproporre Fahrenheit 451 al pubblico del XXI secolo, non dev’essere stata fra le più facili.

L’idea di voler modernizzare la trama principale – un mondo distopico in cui i pompieri invece che spegnere gli incendi li appiccano, e vengono usati dal governo per bruciare i libri – aggiungendo tanti dettagli che la avvicinassero all’epoca in cui viviamo – dove i libri stanno effettivamente scomparendo in favore di apparati digitali – è non solo condivisibile ma anche molto apprezzabile, e infatti i migliori momenti di questo nuovo Fahrenheit (che, diciamolo subito, è quasi inguardabile) vengono proprio da questa trovata: il governo americano si regge su un nuovo internet censurato (chiamato 9), le vite di tutti vengono trasmesse in live-streaming sulle facciate dei grattacieli, e soprattutto il temibile corpo di pompieri appicca-incendi non si limita a dare la caccia ai libri (non avrebbe avuto senso in un mondo fondato su internet), ma a qualsiasi apparato – digitale e non – che possa immagazzinare informazioni, arte, immagini, pensieri, ricordi, ogni cosa che sia in grado di tenere in vita un mondo passato che la nuova società progressista e totalitaria sta cercando di eradicare dalle menti dei suoi cittadini. Come se Bahrani ci stesse dicendo che ad essere a rischio non sono più i saperi contenuti nei libri, o il piacere del cartaceo, ma addirittura la cultura stessa. E questo è molto interessante e molto attuale.

Quindi è bello entrare nell’intimità dei due personaggi principali – il protagonista Michael B. Jordan e l’antagonista Michael Shannon, sempre più specializzato nei ruoli da villain – e scoprire i loro piccoli tesori nascosti (vecchie VHS di Taxi Driver, negativi originali di Cantando Sotto La Pioggia, poesie e aforismi scritti a matita sulle cartine delle sigarette), tenuti celati al resto del mondo come fossero pulsioni indicibili, come scheletri nell’armadio di cui ci si vergogna ma per i quali si sente un’attrazione tanto incomprensibile quanto irreprimibile.

Purtroppo il film fallisce in tutto il resto. Dalla descrizione di un mondo futuro coerente (peggiore di quello visto in Ready Player One, in cui già si capiva poco di come funzionasse la società al di fuori di Oasis) allo sviluppo di una trama sulla carta (scusate la battuta) appassionante e coinvolgente, ma che messa in scena sembra incedere a fatica, quasi svogliatamente. In pratica quando i personaggi e il contesto in cui agiscono vengono presentati, quando iniziamo ad affezionarci a loro e vogliamo scoprire come si andrà avanti, il film si perde in una nuvola di fumo (altra battuta) e si trascina così fino alla fine (palesemente ricalcata da Blade Runner, con uccelli che si librano in volo e paesaggi verdi che arrivano in contrasto col grigio della metropoli in cui siamo stati costretti fino a quel momento).

La sensazione è che un regista come Bahrani non sia stata la scelta più azzeccata per una produzione con queste ambizioni, che sperpera in tutto e per tutto un patrimonio attoriale di altissimo livello (c’è anche Sofia Boutella, ma è ripresa talmente male che non sembra neppure lei, e non è neanche coperta dal trucco com’era ne La Mummia) e più in generale non riesce ad elevarsi a livello qualitativo neppure al di sopra delle attuali serie tv di medio livello (non scomodiamo quelle di serie a).

Se abitassi nel mondo del film e fossi nei panni del protagonista, non mi farei tanti scrupoli a dare alle fiamme Fahrenheit 451.  E se succedesse nel nostro, nessuno ne sentirebbe la mancanza.

 

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