Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi di S. Craig Zahler | Recensione

Pubblicato il 14 Maggio 2018 alle 15:00

Vince Vaugh è il violentissimo protagonista del nuovo, strepitoso film di S. Craig Zahler.

Se il tuo film d’esordio è un western crepuscolare mescolato all’horror gore con un cast gigantesco (Patrick Wilson, Kurt Russell, Richard Jenkins e Matthew Fox), un cowboy, uno sceriffo vecchio ma tostissimo (il look di Russell sarà copiato da Tarantino per The Hateful Eight), un cacciatore di taglie e una tribù di indiani cannibali, viene da se che non sei un regista come tanti, ma qualcosa di più.

Se poi quel film (dalla presuntuosa mente di serie b e dall’anima orgogliosamente exploitation) si dimostra pure un successo inattaccabile, tutti aspetteranno al varco la tua seconda opera, sfregandosi le mani e perdendo bava dalla bocca, desiderosi del minimo passo falso per poterti dare contro, per demolire te e la tua folle idea di cinema estremo e privo della più tenue ombra di compromesso, nell’epoca in cui il cinema sta andando da tutt’altra parte (e infatti in Italia non c’è distribuzione per questa roba qui).

Ma tu non sei un regista come tanti altri. Sei qualcosa di più. E allora spazzi via ogni singolo dubbio senza lasciare spazio alla più flebile replica scrivendo e dirigendo un film che non solo è migliore del precedente(e già era difficile), ma che addirittura riesce ad essere più esagerato, sporco, degradante, anti-convenzionale e scioccante (che era ancora più difficile).

E allora ecco che il titolo della versione italiana (Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi), a differenza del più diretto originale Brawl in Cell Block 99, sembra assumere anche una valenza meta-cinematografica: perché “nessuno può fermarmi” dev’essere di certo il mantra che il regista di Miami Steven Craig Zahler ripete ogni giorno davanti allo specchio prima di uscire di casa. E, diavolo, è proprio così.

In 132 minuti di letterale discesa all’inferno, Vince Vaugh (qui ancora più convincente rispetto ai già ottimi ruoli drammatici recenti, da True Detective a La Battaglia di Hacksaw Ridge e oltre) è un corriere della droga che, per una serie di scelte sbagliate, si ritroverà in debito con un pericoloso boss messicano: per ripagarlo verrà incaricato di trovare e uccidere un detenuto rinchiuso nel blocco 99 del fittizio carcere di massima sicurezza di Redleaf, pena la più atroce delle punizioni.

Fin dalla primissima scena Zahler stabilisce le regole del suo mondo, un’America dove non ci sono buoni ma solo criminali, dove i problemi si risolvono in un solo modo (preferibilmente più violento possibile) e dove soprattutto più si cerca di risolvere quei problemi più si finisce con l’annaspare nella melma puzzolente e affogare nelle sabbie mobili di una società senza regole, istituzioni o umanità.

E’ un film dove le auto vengono fatte a pezzi a mani nude – perifrasi per il crollo della General Motors – con la stessa facilità con cui si frantumano le carni e gli arti degli esseri umani, sempre più disumanizzati e disumanizzanti scena dopo scena, azione dopo azione. La sceneggiatura non va mai dove ti aspetti che possa andare, e gli stilemi del prison movie vengono tesi fino allo stremo, a volte verso i confini radicali del torture-porn, altre volte nei territori da batticuore dei thriller d’atmosfera, quelli dove il silenzio e l’attesa nascondono cose che è meglio non vedere.

Zahler fa muovere il suo film sul sottilissimo filo che separa il desiderio di violenza grafica dal timore della stessa: si fa il tifo per il protagonista e lo si vuole vedere trionfare nel conseguimento del suo obiettivo, ma nel lento incedere della storia il film ci insegna anche ad avere paura di lui, perché ben presto capiamo di avere a che fare con un uomo talmente risoluto da essere pronto a spingersi sempre un po’ più in là. Ed è proprio ciò che fa il regista, alzando di volta in volta l’asticella delle aspettative per trascinarci sempre più giù, sempre più a fondo nel ventre della bestia.

Molti potrebbero non avere lo stomaco per arrivare fino alla meta. Il protagonista si, e chi riuscirà a stargli dietro non si sarà perso un film destinato – come il precedente Bone Tomahawk – a diventare un cult.

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