Djungle di Tommaso Vitiello & Marco Itri | Recensione

Pubblicato il 17 Maggio 2018 alle 10:00

“Perché non importa quello che ci lasciamo dietro… importa solo quello che decidiamo di trovare!”

Djungle è la nuova proposta, tutta italiana, di Panini Comics presentata in concomitanza con il Napoli Comicon 2018.

Grey City è una città di frontiera come tante altre del Selvaggio West e Lev vi ci è capitato per caso. Da parecchi anni sta inseguendo colui che in pochi istanti ha mandato in frantumi la sua vita, un criminale con un tatuaggio sul braccio.

Dopo l’ennesimo buco nell’acqua, o meglio dopo aver riempito di piombo l’ennesimo “uomo” sbagliato, Lev viene assoldato, insieme all’amico Cuchip, dal Patrono Arnab come scorta. Una carovana partirà proprio da Grey City e si sposterà ancora più a ovest alla ricerca di Joyland, una fantomatica città dove tutti vivono in pace e tranquillità.

Ovviamente il viaggio risulterà tutt’altro che privo di insidie, incominciando dal resto della scorta di Arnab, capeggiata da Jaran e Lapé. I due hanno intenzioni tutt’altro che pacifiche e si sono alleati con una banda di criminali per depredare, lungo il tragitto, la carovana. Solo Lev sarà in grado di rispondere al fuoco nemico e salvare la piccola Hea, la figlia di Arnab.

Inizierà così un folle inseguimento e Lev scoprirà, per puro caso, che la banda di criminali che ha appena affrontato, e che dovrà affrontare per salvare la sua vita e quella di Hea, è tristemente legata al suo passato.

Tommaso Vitiello rilegge in chiave moderna e frizzante la tradizione del western italiano, fumettistico e non solo, attraverso una storia senza fronzoli con protagonisti personaggi antropomorfi strizzando l’occhio ad una illustre tradizione fumettistica recente e non – basti pensare al bellissimo Blacksad Juan Díaz Canales e Juanjo Guarnido – ma anche alle grandi serie animate animate di fine anni ’80 ed inizio ’90 che sono entrate sicuramente, se non altro per motivi anagrafici, nel background dell’autore.

Quella di Djungle è una rilettura davvero efficace dello spaghetti western in cui l’autore fa convergere due temi principali del genere: la vendetta e la ricerca di sé stessi.

Da un lato il protagonista, la tigre Lev, è mossa unicamente dalla sete di vendetta – trovare l’uomo che ha sterminato la sua famiglia – dall’altro con sagacia l’autore inizia ad inserire dettagli sulla sua vita passata delineando i contorni di una figura tormentata che ha sostanzialmente smarrito la propria bussola morale il cui nuovo polo diventa la piccola Hea.

Non manca l’azione che è, anzi, è il vero cuore pulsante del libro. Si parte con un ritmo blando che, aumentando di intensità fra inseguimenti e sparatorie, sfocia nello stand-off finale di cui Vitiello si serve per mettere in luce quello che è forse il messaggio intrinseco di questa storia e fa il verso al titolo stesso del libro. Djungle, che è un riferimento alla pellicola del 1966 di Sergio Corbucci poi riportata in auge dal “remake” di Quentin Tarantino di qualche anno fa, è la cifra di una società spietata in cui l’arrivismo e la brama di potere hanno sostituito umanità e altruismo – la legge della giungla ha prevalso sulla civilizzazione così come denota il “caotico” finale grazie al quale un ritrovatosi Lev cavalca verso l’orizzonte.

L’autore in tal senso, neanche troppo velatamente, fa riferimento ad un epoca remota in cui gli animali “camminavano a quattro zampe” strizzando l’occhio, con alcuni azzeccati riferimenti, ad un opera visionaria come il Kamandi di Jack Kirby.

Ottimo l’apporto alle matite di un Marco Itri particolarmente attento ai particolari e al character design dei personaggi così come al mondo in cui si muovono. Le anatomie dei personaggi sono ineccepibili mentre particolare attenzione viene rivolta alle espressioni facciali vero veicolo emotivo di tutta la storia. La costruzione della tavola è poi sempre chiara pur prediligendo soluzioni che strizzano l’occhio alla BD più che ai comics americani. Le scene d’azione sono meno hollywoodiane e più d’impatto giocando su inquadrature e sulla tensione sempre palpabile fra i personaggi così come ogni stand-off che si rispetti richiede.

Djungle è un ottimo libro il cui unico “punto debole” è una certa rapidità nell’inserire il protagonista nel plot, ma anche questo è uno degli stilemi del genere d’altronde del Biondo di Sergio Leone sappiamo davvero poco eppure Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo rimane uno dei capolavori del cinema western e la sua sceneggiatura ineccepibile.

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