Loro 2 di Paolo Sorrentino | Recensione
Pubblicato il 11 Maggio 2018 alle 15:00
La seconda parte del film su Silvio Berlusconi è in programmazione nei cinema italiani.
Dopo la pausa pipì più lunga della storia del cinema, le luci in sala si riaccendono e il film di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi può finalmente riprendere. Fingiamo che non siano trascorse due settimane, fingiamo di avere addosso gli stessi vestiti, fingiamo che intorno a noi siano sedute le stesse persone. Ricominciamo da lì, da quella villa, da quel lusso, da quelle feste, da Riccardo Scamarcio e Euridice Auxen, da Elena Sofia Ricci e Toni Servillo. Ricominciamo non da Tre, bensì da Loro Due, titolo – adesso sì – molto più azzeccato ed evocativo del precedente (tanto insignificante quanto brutto, proprio a livello uditivo).
Ma chi sono loro due? Sergio e Tamara? Servillo e Sorrentino? Silvio e Silvio? O forse addirittura Servillo e Servillo, visto che in una delle primissime scene l’attore partenopeo si sdoppia per la cinepresa di Sorrentino (che si limita ad uno scolastico e banale campo-controcampo) e mette a confronto Silvio con Ennio, un collaboratore del premier, in una bella metafora (nient’affatto telefonata, una novità per Sorrentino) di arrivismo, dove Ennio-copia-di-Berlusconi rappresenta l’imprenditore arrivato all’apice del successo, in grado di fare colazione tête-à-tête con Silvio perché egli stesso è diventato Silvio? (Tra l’altro, a quanto pare la mania dei doppelgänger, che ha straripato nella cultura pop soprattutto oltreoceano, sta iniziando a contagiare anche il cinema italiano e questa cosa mi ha mandato fuori di testa).
O ancora, un’altra chiave di lettura (incredibile, siamo a due, Sorrentino vuole strafare) potrebbe suggerire che loro due, intesi solo apparentemente come Silvio e Veronica, in realtà siano Silvio e l’Italia, con l’amareggiata coniuge (arida e invecchiata male) interpretata da Elena Sofia Ricci che sia lì solo in antropomorfica rappresentanza di una nazione (e di un popolo) che non sa bene perché e percome sia rimasta per così tanti anni al fianco di un uomo che reputava privo di qualità, e soprattutto quali siano stati i motivi del primo, improvviso e folgorante innamoramento.
Questi gli unici due spunti interessanti di un film (tutto Loro, parte uno e parte due, ora possiamo parlarne per intero) altrimenti monotono e ripetitivo, privo di una logica narrativa (come spesso accade con Sorrentino e Contarello, le scene si susseguono senza alcuna evoluzione e/o rapporto di causa-effetto: se la maggior parte di esse fossero rimaste sul pavimento della sala di montaggio, nessuno ci avrebbe fatto caso) e nel quale le cose accadono non come conseguenza diretta di azioni precedenti ma semplicemente perché devono accadere, perché così vuole il deus ex machina Sorrentino, che ancora una volta ci presenta una sequela di stacchetti e scenette in cui il suo protagonista la fa da padrone su tutto e tutti (verrà messo in difficoltà una volta sola, dal personaggio della mia concittadina Alice Pagani, ma tanto Silvio non si offende mai e non appena la dolce Stella uscirà di scena il film continuerà dritto per la sua strada).
Si scimmiotta ancora Scorsese (sia a livello estetico e formale, sia a livello di sceneggiatura con la seduzione telefonica alla The Wolf of Wall Street), durante il terremoto dell’Aquila cadono solo le istituzioni amministrative (non muore nessuno, come se l’Italia non fosse fatta di italiani), Silvio torna al governo mentre tutte le cose più interessanti accadono off-screen (il film è una lunghissima e francamente estenuante sequela di titoli di giornali commentati in scena da Berlusconi) e per il resto ci si trascina verso il finale a forza di Malafemmena e O’ Surdato ‘Nnamorato.
L’unico altro elemento interessante – che mi ha permesso di non detestare completamente il film – è rappresentato da questa versione crepuscolare di Silvio Berlusconi, la cui vita vissuta al massimo ormai giunta al termine lo fa sembrare una persona reale molto più di quanto invece non faccia la rappresentazione parossistica voluta da Sorrentino. Un Silvio più umano e meno simbolo (cosa che invece non accadeva ne Il Divo) che si ostina ad andare per la sua strada, che vuole piacere a tutti incondizionatamente, che non vuole perdere né tanto meno arrendersi. Sarebbe stato bello vederlo nell’ospizio sulle Alpi svizzere di Youth, insieme al Fred Bellinger di Michael Caine e al Mick Boyle di Harvey Keitel, perché si ha sempre la sensazione che il suo posto sia quello.
L’unico problema è che Sorrentino non racconta i propri personaggi, ma li vende, e li vende alla grande. Loro (1 e 2) ne è la prova concreta: una riuscitissima operazione commerciale che ha sbancato i botteghini senza dire nulla, o quasi nulla, e va benissimo così. Contenti Loro, contenti tutti.