Dylan Dog 380: Nessuno è Innocente | Recensione
Pubblicato il 11 Maggio 2018 alle 17:00
Siamo davvero sicuri che Dylan e Bloch siano stati sempre innocenti?
Chiariamoci: nel corso dei trent’anni di produzione editoriale, Dylan ne ha fatte di cavolate, trasgredendo più e più volte la legge. Ogni volta che l’ha fatto era nel giusto? La risposta sta nelle vostre coscienze di lettori, mentre la coscienza della scrittrice Paola Barbato ha messo nero su bianco ciò che effettivamente doveva essere fatto da un po’ di tempo: la resa dei conti di Dylan Dog e di tutti i suoi “compari” davanti al braccio implacabile della Legge.
In “Nessuno è innocente” ci troviamo di fronte a un giallo che vede Dylan come diretto interessato della macabra vicenda. Il ruolo di risolutore viene accantonato e ci troviamo catapultati nel bel mezzo di momenti concitati all’interno di Scotland Yard, dove tutto il personale è stato mobilitato per la risoluzione di questo nuovo caso. Nessuno all’inizio capisce bene cosa stia succedendo: l’ispettore Carpenter è furioso con Dylan (vabbè, fin qui nulla di nuovo) e con lui anche Rania. Una strana epidemia si sta diffondendo tra le persone che stanno circondando l’indagatore, scatenando effetti differenti da persona a persona. Nel frattempo, anche Bloch viene braccato dalla polizia inglese, per rispondere delle sue colpe e manchevolezze del suo operato passato davanti al giudice. Ma chi ha scatenato tutto questo?
Paola Barbato non le manda a dire, insomma: ogni volta che lei mette mano alla vita dell’indagatore dell’incubo la stravolge, la prende a schiaffi e la butta nell’angolo di una cella dell’anima come se fosse un calzino bucato. Le sensazioni che prova il nostro amato indagatore di quartiere sono trasmesse al lettore senza filtri, facendogli provare il brivido degli inseguimenti, le paure delle ingiustizie e il freddo della cella. Un’autrice del suo calibro mantiene sempre alta l’asticella dell’aspettativa, senza abbassarla a soluzioni semplicistiche o finali deludenti.
Franco Saudelli torna sulla serie regolare dopo sei anni di assenza (l’ultima storia risale a maggio 2012, pubblicata sul numero 305 per la sceneggiatura di Giovanni Gualdoni). Dopo aver lavorato per i nomi più grossi del parco autori bonelliani (Ruju, Faraci e ben tre storie con lo stesso Sclavi), Saudelli si ritrova, grazie alla Barbato, a dover far trottolare per tutta Londra (e oltre) Dylan, Bloch e Groucho, per una caccia alla verità partendo da vittime che non hanno nulla in comune tra loro, se non l’essere venuti a contatto con il “Rupert Everett a fumetti”. Agile tra le vignette e le tavole, il disegnatore riesce a far vivere momenti elettrizzanti tra i personaggi, creando delle figure dagli stacchi cromatici netti, senza sfumature, per dare al lettore un’immagine chiara e nitida dell’azione.
Nel numero di questo mese la narrazione brancola nel buio, fin quando non si riesce a trovare un filo narrativo a cui appendersi per arrivare a un finale con il fiato semi-sospeso, che risolve alcuni dubbi e contemporaneamente ne crea altri: che stia nascendo un nuovo nemico? Potrebbe essere questo uno degli albi apri-pista al nuovo ciclo narrativo annunciato da Recchioni, che si concluderà verso il numero 400? “Ai posteri l’ardua sentenza”.