Rampage: Furia Animale | Recensione

Pubblicato il 16 Aprile 2018 alle 10:00

La Energyne, una compagnia specializzata in ingegneria genetica, effettua esperimenti illegali nello spazio ma qualcosa va storto e tre fusti contenenti patogeno precipitano sulla Terra. Uno dei contenitori finisce nello zoo di San Diego dove muta il mite gorilla albino George in una creatura gigante e furiosa. Gli altri due fusti finiscono nelle Everglades e nel Wyoming trasformando allo stesso modo un coccodrillo ed un lupo. Mentre le bestie si dirigono verso Chicago lasciandosi dietro una scia di distruzione, il primatologo Davis Okoye, che ha cresciuto e addomesticato George, è determinato a salvare l’amico e ad evitare una catastrofe.

Rampage poteva essere ma non è. La saga videoludica della Midway, partita nel 1986, permette ai giocatori di controllare personaggi umani che si trasformano in mostri giganti con l’obiettivo di devastare grandi metropoli e ucciderne gli abitanti. Un concept politicamente scorretto, tradotto attraverso un gameplay surreal-demenziale e gag da cartoon. A voler ipotizzare una trasposizione fedele allo spirito del videogioco, ci si aspetterebbe qualcosa di molto vicino a Sharknado, un trash ricercato che mette alla berlina i più seriosi monster movies che stanno tornando alla ribalta.

Il regista Brad Peyton e il richiestissimo Dwayne Johnson, vera manna al botteghino, alla loro terza collaborazione (dopo Viaggio nell’Isola Misteriosa e San Andreas, di cui è in arrivo il sequel), prendono invece tutto troppo sul serio, ancorano la trasposizione al realismo, moderano l’ironia e aggiungono cucchiaiate di zuccheroso sentimentalismo. Il risultato è un disaster movie convenzionale e derivativo che vi dirà qualcosa di nuovo solo se non avete visto King Kong, Godzilla, Jurassic Park o L’alba del Pianeta delle Scimmie, opere a cui Rampage si conforma anziché farne la parodia.

Il film non fa il passo più lungo della gamba per quanto riguarda il minutaggio, e questo è un bene, 107 minuti tutti protesi alla grande battaglia finale a Chicago. Nell’attesa c’è la solita minestra cucinata con un certo mestiere. Johnson è determinato a dimostrare che il vero fenomeno della natura sullo schermo è sempre lui. Mentre il gorilla George deve vedersela con gli altri due bestioni, allo stesso modo Johnson fa a gara di machismo con Joe Manganiello, più Deathstroke qui che nella scena dopo i titoli di coda di Justice League, e con Jeffrey Dean Morgan (Negan in The Walking Dead, Thomas Wayne nel DC Universe cinematografico) col quale s’instaura la consueta dinamica nemiciamici alla Fast & Furious.

Il testosterone che trasuda dallo schermo finisce per soffocare l’estrogeno venando tutto di una certa misoginia. Tre personaggi femminili: Naomie Harris (Moneypenny in 007) sta lì solo per farsi salvare dall’eroe e ottenere il suo perdono, Malin Akerman (Watchmen) è la cattiva della situazione e Breanne Hill si fa vedere solo per due minuti, il tempo sufficiente per dimostrarsi attratta da Johnson e suggerire, in maniera neanche troppo implicita, di volersi “sottomettere” a lui.

Resta uno spettacolo visivo di buon livello, con suggestive riprese aeree, una componente catastrofista più moderata rispetto al precedente, stucchevole San Andreas, un paio di gag memorabili ed effetti visivi sopra la media. Motore emotivo, semplice ma efficace soprattutto per i ragazzini, resta il rapporto tra Johnson e lo scimmione George con l’inevitabile messaggio ecologista. E’ un film che tradisce il concept originale, mantiene quello che promette, avrà successo al botteghino ma, nella corrente disaster-monster, resta del tutto generico e irrilevante.

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