A Quiet Place – Un Posto Tranquillo di John Krasinski | Recensione

Pubblicato il 6 Aprile 2018 alle 20:00

Il film è attualmente in programmazione nelle sale italiane.

Destinato a diventare l’horror preferito di chi non ha mai visto un film horror prima di questo, A Quiet Place – Un Posto Tranquillo di John Krasinski piazza le sue stabili fondamenta su una premessa originale e curiosa, dopo di ché si siede a braccia conserte e inserisce il pilota automatico fino ad un finale totalmente idiosincratico rispetto agli 89 minuti precedenti. Idiosincratico ma comunque interessante, come ogni buona idiosincrasia: a guardar bene, infatti, sembra una metafora perfetta per dirci che la testa sotto la sabbia non la si può nascondere per sempre; prima o poi bisogna rimboccarsi le maniche e prendere la situazione in mano.

In un futuro appena dietro l’angolo rispetto al nostro presente, il mondo è infestato da una razza di alieni venuti da chissà dove (il film non ce lo dice) e particolarmente sensibili al rumore. I protagonisti Lee (John Krasinski) e sua moglie Evelyn (Emily Blunt), devono fare i conti con una quotidianità votata al silenzio per riuscire ad avere il controllo della propria vita e soprattutto per essere in grado di proteggere i tre figli, la più grande Regan (Millicent Simmonds, sordomuta sia nella vita vera che nel film), il secondogenito Marcus (Noah Jupe) e il più piccolo, Beau.

Dopo lo sconcertante prologo (ambientato durante l’89esimo giorno di questa misteriosa invasione), il film vero e proprio inizia nel 2020, circa un anno dopo: Evelyn è incinta, e mentre i mostri alieni sembrano sempre più consapevoli della presenza della famiglia Abbott, Lee dovrà escogitare un modo per preparare tutti quanti al parto, bomba ad orologeria che fa tic tac ed è pronta ad esplodere.

Krasinski, che non è un regista eccelso – il suo film d’esordio, Brief Interviews with Hideous Men, non era male, ma The Hollars era davvero pessimo – sembra voler riavviare la propria carriera dietro la macchina da presa, lasciando completamente da parte lo sviluppo dei personaggi in quello che è praticamente un B movie votato alla tensione e all’intrattenimento.

Si sente l’amore per la protagonista (Emily Blunt e Krasinski sono sposati anche nella vita vera e lei è ripresa sempre benissimo: anche se sporca, sudata e sanguinante è sempre bellissima, bellissima come raramente è stata in passato nonostante sia stata spesso bellissima nella sua carriera; quando Evelyn scende in cantina con quell’abito primaverile e il pancione e Lee la guarda e le dice – o meglio, le comunica con la lingua dei segni – che è bellissima, si capisce che Lee ci crede davvero perché John Krasinski ci crede davvero) ma si sente anche troppa musica: se nel mondo ideato a sei mani da Krasinski, Bryan Woods e Scott Beck, per poter sopravvivere bisogna stare zitti e quieti (“Come Fonzie”, per citare le parole con cui Jules minaccia Ringo e Yolanda nell’ultima scena di Pulp Fiction) il film non tace neanche un secondo, con una colonna sonora praticamente onnipresente al punto da risultare fastidiosa.

Ottimo invece il lavoro di sound design (quando i silenzi totali arrivano sono rumorosissimi, e i versi dei mostri alieni, che ricordano quelli ticchettanti del fumo nero di Lost, funzionano alla grande) e particolarmente azzeccato il look dei mostroni, tanto minacciosi nell’aspetto quanto letali nell’effetto.

Tra La Guerra dei Mondi, Jurassic Park, Signs e ovviamente Alien (lì si era nello spazio e quindi nessuno poteva sentirti urlare, qui invece non puoi urlare e basta) A Quiet Place prende una trama semplice senza mai banalizzarla e costruendoci sopra un buon monster movie d’intrattenimento da serie b. Niente di più, niente di meno, ma a volte va benissimo così.

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