Suicide Squad: Hell to pay | Recensione

Pubblicato il 3 Maggio 2018 alle 20:00

Deadshot, Harley Quinn, Captain Boomerang, Killer Frost, Copperhead e Tigre di Bronzo vengono selezionati da Amanda Waller per far parte della nuova Task Force X, anche detta Suicide Squad, che avrà il compito di recuperare la cosiddetta card “Esci gratis dall’Inferno”. Il team dovrà però vedersela con altri due pericolosi gruppi guidati da Reverse Flash e Vandal Savage.

Forse s’intravede una via d’uscita dalla palude nella quale si sono impantanati i film d’animazione DC Universe, trasposizioni piatte, prive d’autorialità, affidate sempre agli stessi due registi e con un livello tecnico che non denota alcuna evoluzione. Eppure Suicide Squad: Hell to Pay, pur confermando i difetti della collana riesce a mostrare una certa freschezza sul piano narrativo. E il motivo è semplice. Si tratta di una storia originale, non è tratta da alcun fumetto specifico, anzi, ha a sua volta generato una nuova testata omonima. Per la stessa ragione, Batman e Harley Quinn, uscito la scorsa estate, è l’unico altro titolo recente della serie ad aver detto qualcosa di diverso, quantomeno sotto il profilo formale.

Harley Quinn e la sporca mezza dozzina della DC Comics sono naturalmente gettonatissimi dopo la deludente trasposizione live-action di due anni fa che è comunque servita a lanciare il brand a livello multimediale e a far innamorare il pubblico della folle amante del Joker, interpretata dalla splendida Margot Robbie sul grande schermo. Eppure, per questa nuova iterazione animata, lo sceneggiatore Alan Burnett (qui alla sua ultima prova prima del pensionamento) ha il coraggio di non piegarsi al girl power imperante, ritaglia ad Harley un ruolo da comprimaria che si limita al minimo sindacale, e punta i fari su Deadshot (interpretato da Will Smith nel live-action e doppiato qui da Christian Slater) e il rapporto con sua figlia. Gli fa da contraltare dicotomico la relazione a dir poco conflittuale tra Vandal Savage e sua figlia Scandal.

Tutti gli altri personaggi, e ce ne sono moltissimi, hanno il loro momento. Tigre di Bronzo è l’unico all’interno della Suicide Squad a mostrare un’etica, a dire il vero un po’ bacchettona da integralista religioso, e vuol essere la bussola morale di Deadshot a suon di sganassoni. Interessante il ruolo di Reverse Flash con un collegamento fan service a Flashpoint mentre la vena umoristica e surreale si concentra soprattutto nella caratterizzazione di Doctor Fate, uno spogliarellista idiota e metrosexual. Lo stesso MacGuffin, la card “Esci gratis dall’inferno” che tutti vogliono, è ai limiti dell’esoterico-demenziale.

Il film si apre con un prologo action alla 007 o alla Mission: Impossible, fate un po’ voi, e il titolo compare con effetto pellicola sgranata ed esplosione live-action sullo sfondo in un omaggio post-modernista al cinema d’exploitation anni ’70, poi lo stile estetico diviene più convenzionale, non aspettatevi una Suicide Squad in stile Grindhouse. Violenza esplicita con un notevole body count, riferimenti sessuali e Knockout come mamma l’ha fatta giustificano il divieto ai minori.

Certo, Sam Liu, tanto per cambiare, non mostra grosse idee di regia, le scene d’azione e le coreografie di combattimento potevano essere elaborate meglio e gli elementi digitali malamente mascherati in cel shading sono un pugno in un occhio rispetto al contesto. Tuttavia, la gran varietà di personaggi utilizzati in maniera giocosa, il ritmo sostenuto, il tono irriverente e l’imprevedibilità della vicenda, ricchissima, soprattutto nel finale, di colpi di scena rendono la fruizione del film molto più gradevole rispetto alle ultime uscite della collana.

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