I Kill Giants – Recensione in anteprima
Pubblicato il 28 Marzo 2018 alle 20:00
Barbara è una ragazzina dissociata che affronta le difficoltà della vita rifugiandosi in un mondo di fantasia, convinta di poter uccidere i giganti malvagi che minacciano il nostro mondo. Sua sorella maggiore Karen è l’unica a prendersi cura di lei ma deve gestire anche il suo lavoro ed il fratello minore. Perseguitata dai bulli e sbeffeggiata dai compagni di scuola per le sue stramberie, Barbara trova un’amica in Sophia, l’unica a non prenderla in giro. Intanto, Mrs. Mollé, la psicologa della scuola, inizia a interessarsi al suo caso.
Cinema e fumetto, come ogni altra forma d’arte, trovano la loro massima efficacia quando il mezzo espressivo riflette e diventa un tutt’uno con il contenuto. I Kill Giants, graphic novel pubblicata negli USA tra il 2008 e il 2009, funziona non tanto e non solo per la narrazione di Joe Kelly, una storia intimista di formazione ben strutturata, con un piede nel genere young adult, non originale ma toccante; è soprattutto il tratto manga-style di Ken Niimura, affusolato, sintetico, con un uso dei grigi capace di veicolare lo stato emotivo del lettore, a mostrare rara potenza comunicativa.
Il regista danese Anders Walter ha vinto l’Oscar per il Miglior Cortometraggio 2014 con Helium, storia di un ragazzino, malato terminale, che sfugge alla sua drammatica condizione sanitaria volando con l’immaginazione nel suggestivo mondo celeste che gli viene raccontato da un immaginifico inserviente. Le similitudini con I Kill Giants sono evidenti e Walter sembrava la persona giusta al posto giusto per portare la graphic novel sul grande schermo. A conti fatti, però, si tratta di un adattamento riuscito a metà proprio perché forma e contenuto non riescono ad andare di pari passo e non trovano l’alchimia necessaria.
Sul piano narrativo c’è poco da dire. Il film segue per filo e per segno la trama dell’opera originale con poche trascurabili licenze. La storia si fa coinvolgente grazie ad un cast in stato di grazia. Madison Wolfe e Sydney Wade, nei ruoli di Barbara e dell’amica Sophia, gettano le basi di una carriera luminosa. Il sarcasmo pungente della protagonista riesce ad alleggerire il tono altrimenti troppo drammatico e cupo. Imogen Poots, la sorella maggiore, mostra segnali di grande crescita nell’intensità della performance mentre Zoe Saldana è sempre gradevole, anche nel ruolo di una psicologa che conclude ben poco (anche nel fumetto) e potrebbe essere sottratta alla vicenda senza grosse conseguenze.
Le carenze sono tutte sul piano estetico. Il regista non può e non riesce a dare vita al mondo immaginifico che vive nella testa della piccola Barbara. Non può perché il budget di 15 milioni di dollari è troppo esiguo, non basterebbe a pagare il catering di un blockbuster hollywoodiano. Gli elfi con i quali Barbara comunica nel fumetto sono qui totalmente assenti. Compaiono solo l’araldo e il titano per un paio di brevi sequenze, dettati da effetti digitali al risparmio, e una battaglia finale cotta e mangiata in mezzo minuto. Troppo poco per suscitare il sense of wonder del pubblico.
A prescindere dai limiti produttivi, però, Walter non riesce a rendere giustizia alla componente fantasy ed action del racconto poiché troppo ancorato alle sue radici di filmmaker indipendente e il suo sguardo non ha ancora la portata epica necessaria, non fa sullo schermo quello che splash page e linee cinetiche fanno sulla carta, non evade mai davvero dalla realtà piccola e opprimente di Barbara per entrare nel suo immenso universo alternativo. Procede tra una quantità abnorme di inquadrature fisse, movimenti di camera lenti e brevi, qua e là usa la camera a mano per cercare di conferire dinamismo alla narrazione, affida il ritmo al montaggio e la fotografia resta troppo ancorata ai colori del reale.
Scatta in automatico il confronto con il recente Sette minuti dopo la mezzanotte (A Monster Calls) di Juan Antonio Bayona che ha molti punti in comune con I Kill Giants ma è un film nettamente migliore. Dell’opera di Kelly e Niimura restano personaggi sfaccettati con cura che riescono a toccare e a riempire il cuore ma lo spettacolo visivo non resta negli occhi del pubblico.