Maria Grazia Cutuli. Dove La Terra Brucia: Recensione

Pubblicato il 11 Gennaio 2012 alle 12:15

Una graphic novel dedicata a Maria Grazia Cutuli, giornalista del Corriere della Sera, vittima di un attentato mentre era in procinto di recarsi a Kabul: quando il fumetto e la cronaca si uniscono.

Maria Grazia Cutuli. Dove La Terra Brucia

Autori: Giuseppe Galeani (testi), Paola Cannatella (disegni)
Casa Editrice: Rizzoli/Lizard
Provenienza: Italia
Prezzo: € 16,00, 17 x 24, pp. 144, b/n e col.
Data di pubblicazione: ottobre 2011

Ho scritto molte recensioni, quasi sempre elogiative, e a volte dando un giudizio negativo su un fumetto, sforzandomi però sempre di motivare le mie affermazioni con la massima onestà possibile. In ogni caso, tutte le opere da me lette mi hanno suscitato impressioni precise. E non è il caso di Maria Grazia Cutuli – Dove La Terra Brucia, scritta da Giuseppe Galeani, disegnata da Paola Cannatella e pubblicata da Rizzoli/Lizard, che invece mi ha provocato sensazioni contrastanti.

Il volume mi è piaciuto? Da un certo punto di vista sì. Nello stesso tempo, non l’ho gradito e, anzi, l’ho odiato. È possibile? Certo. E cercherò di chiarire il mio pensiero. Come è facile intuire dal titolo, il fumetto è imperniato su Maria Grazia Cutuli, giornalista de ‘Il Corriere della Sera’ che, dopo anni di gavetta, divenne una delle professioniste più apprezzate nell’ambito dell’informazione scritta. La sua predilezione per la cronaca estera la condusse spesso in paesi sconvolti dalla guerra e, ovviamente, molto pericolosi.

Siamo nel 2001. Maria Grazia Cutuli si trova in Afghanistan ma attende con trepidazione il momento in cui potrà andare a Kabul, a un mese esatto dall’inizio dello spaventoso conflitto tra Stati Uniti e talebani. In questo frangente, ne approfitta per fare un bilancio della sua vita, rievocando il percorso esistenziale che l’ha portata in Ruanda, in Bosnia, in Costa D’Avorio, facendola diventare una delle più stimate croniste di guerra italiane. Ma non riuscirà a realizzare gli articoli più importanti della sua carriera, dal momento che, come tutti sanno, Maria Grazia, insieme ad altri colleghi giornalisti, verrà uccisa in un attentato, in una strada di Jalalabad.

L’autore Giuseppe Galeani, al suo esordio come sceneggiatore di fumetti, ha inteso, ovviamente, ricordare e omaggiare la figura della Cutuli e l’intento in sé è lodevole. Tuttavia, benché la scrittura di Galeani sia valida, non ho apprezzato il ritratto convenzionale e stereotipato del mondo islamico che si ricava dalla lettura del libro. Preciso, tuttavia, che la storia è narrata in prima persona dalla Cutuli e non so se le frasi, le riflessioni e le affermazioni di Maria Grazia siano farina del sacco di Galeani o mutuate da articoli, appunti e diari della giornalista.

Malgrado, lo ripeto, si tratti di un fumetto ben scritto, perché mi ha irritato? Perché Galeani non fa altro che propinare i consueti luoghi comuni sull’Islam, sui fondamentalisti, sulle armi di distruzione di massa e, in generale, sulle bufale che i mezzi di comunicazione hanno usato, nel corso degli ultimi anni, per giustificare la tendenza imperialista degli Stati Uniti. Tutti gli islamici sono fanatici oppressori o terroristi o seguaci di Al Qaeda. E tutti odiano l’occidente. Però sulle motivazioni che li hanno spinti a odiarlo Galeani non dice una parola. E ciò che se ne deduce è: l’occidente è il bene e l’Islam è il male. Invece la realtà è complessa e non è fatta di buoni e cattivi. E i concetti di bene e di male non sono assoluti. Spesso dipendono dai punti di vista.

Non mancano, naturalmente, gli immancabili moralismi buonisti sulla difesa dei diritti umani (che a quanto pare, secondo Galeani, contano quando si tratta dell’Iraq e dell’Afghanistan, perché quando si tratta di denunciare i crimini contro i diritti umani compiuti da Stati Uniti e Israele, allora Galeani se ne sta zitto) e sulla condizione di sopraffazione della donna, come se la questione si riducesse solo alla faccenda del burqa. Ma Galeani è davvero convinto che in Europa e in America la donna si trovi in condizioni migliori? Solo perché può truccarsi e indossare una minigonna? Questa sarebbe l’emancipazione femminile?

E, considerando che la protagonista della storia è, appunto, una donna, devo purtroppo constatare che Galeani idealizza in maniera eccessiva la Cutuli. Che non fa mai una critica nei confronti della guerra; non si sofferma mai ad esprimere un pur minimo senso di solidarietà nei confronti delle vittime dei conflitti; non analizza le cause che hanno provocato certe situazioni; non condanna i responsabili che hanno ridotto determinati paesi in condizioni penose. No, anzi, la Cutuli che ne viene fuori è decisamente antipatica; spesso spocchiosa; una felice esponente dell’occidentalismo più becero, non esente da impulsi vanesi, con la sua tendenza allo shopping compulsivo, il suo amore per il trucco e i suoi timori per la linea, sullo stile delle signorine snob a suo tempo prese in giro dalla grande Franca Valeri.

Insomma, lo ribadisco, benché la sceneggiatura sia di gran livello, con un’interessante alternanza di flashback e flashforward, l’opera è il frutto di un’operazione biecamente ideologica, degna di un libro della Fallaci (e non è un complimento). La parte grafica, peraltro, è splendida. La disegnatrice, Paola Cannatella, ha fatto un ottimo lavoro e ha un tratto fluido, elegante, con un suggestivo uso del bianco e nero e un’attenzione nei confronti degli sfondi encomiabile. Nelle pagine iniziali e finali, inoltre, sperimenta con il colore, dimostrando raffinatezza notevole. Mi rammarico, però, che la sua arte sia stata messa al servizio di un prodotto discutibile come questo che getta benzina sul fuoco delle contrapposizioni e contribuisce, a mio parere, ad alimentare i pregiudizi.

Perciò, come concludere? Se dovessi limitarmi a giudicare scrittura e disegni, darei un voto elevato. Ma, per quanto concerne il messaggio presente nel testo, mi sentirei di bocciare senza possibilità di appello la graphic novel. Di conseguenza, per la prima volta in assoluto, mi astengo dal dare un voto e non posso fare altro che esprimere perplessità.

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