Blue Fighter di J. Taniguchi e C. Marley | Recensione
Pubblicato il 21 Febbraio 2018 alle 10:00
J-Pop ci porta indietro nel tempo con una opera inedita del maestro Jiro Taniguchi.
Ao no Senshi (Il guerriero blu) ci racconta la storia di Reggie, un pugile alcolizzato che ha al suo attivo 32 match, di cui 12 vittorie, 20 sconfitte; tutte, sia le vittorie che le sconfitte, avvenute per K.O… da qui il soprannome di “Re della sconfitta“… Alla Korakuen Hall di Tokyo Reggae affronta il suo ennesimo avversario. Tra il pubblico, si trova anche un certo D’Angelo, un americano che nota subito la forza distruttiva impressionante di Reggae e lo vuole ingaggiare per farlo diventare un grande campione nel mondo della boxe.
L’11 febbraio 2017 si spegneva il maestro Jiro Taniguchi, il mangaka che ha allargato il pubblico di lettori di manga almeno in Europa, grazie al suo tratto così vicino al gusto europeo, soprattutto alla scuola francese. Ora J-Pop ci propone una delle opere, se non cronologicamente, almeno stilisticamente, quasi di esordio dell’autore, Blue Fighter, nata dalla collaborazione con Caribu Marley, sceneggiatore famoso in Italia per Old Boy, sempre pubblicato da J-Pop, ma in quest’ultimo caso scritto con lo pseudonimo di Tsuchiya Garon. Purtroppo anche il maestro ci ha da poco lasciati, rendendo ancora più di rilievo la pubblicazione di questo manga.
Blue Fighter è a prima vista un fumetto sullo sport della boxe, ma è in realtà la storia di un uomo che è destinato all’autodistruzione (come in Hotel Harbour View, sempre di Taniguchi). Reggie infatti non parla mai (tranne poche frasi nel finale), l’unica cosa che riesce a fare è lottare quando sale sul ring e bere. Tutto il resto sembra non interessarlo, tanto meno la carriera che sembra attenderlo grazie all’incontro fortuito con D’Angelo. La sua vita sembra essere in preda agli eventi posti in essere da chi gli sta intorno. Tuttavia nel passato di Reggie ci sono delle storie interessanti che sembrano arricchire il personaggio; peccato che queste storie non vengono mai approfondite, ma solo sommariamente descritte; il che è un peccato perché avrebbe reso il pugile molto più interessante di quanto potrebbe sembrare ad un lettore medio. Nonostante un protagonista che non sembra essere il protagonista, però, il contorno di alcuni comprimari brilla, come per esempio D’Angelo, che viene ben descritto sia nel rapporto con Reggie sia in quello con la moglie ed il ricco suocero. Tuttavia non si empatizza con i personaggi, che restano come attori sullo sfondo, senza che il lettore sviluppi un senso di partecipazione alla storia; in questo può farsi un parallelismo con Meurtre Tokioit, opera disegnata da Taniguchi e scritta dal francese Alain Saumon.
Interessante, invece, l’idea di accompagnare il volume con una colonna sonora decisa dall’autore, che spazia dal blues al jazz.
Dal punto di vista del disegno siamo ancora lontani dalla raffinatezza grafica cui Taniguchi ci aveva abituati, rinvenendosi in quest’opera ancora le influenze del romanzo nero americano, influenze che ritroviamo in Rind!3, Città Aperta e, soprattutto, i racconti del 1986 raccolti in Hotel Harbour View (editi in Italia da Panini con il nuvo titolo Tokyo Killers); ma non è da escludere una influenza del gekiga giapponese, cui il maestro si interessò a partire dalla fine degli anni Sessanta. Nonostante una cura per il dettaglio che si rinviene anche in quest’opera, è da sottolineare che in ogni caso mancano le tematiche che lo hanno reso famoso: ad esempio la natura non è ancora qui al centro, così come il mondo degli animali non ha ancora preso quell’importanza che successivamente viene riconosciuta.
Come nelle opere su citate troviamo le influenze della letteratura pulp americana, che Taniguchi riesce a portare con grande effetto su carta grazie ad un uso sapiente dei neri e ad un tratto sporco, come detto ben distante dalla pulizia delle opere successive. Le tavole, lontane da quella quiete della maturità, sono cariche di una azione continua e, spesso, disordinata; sia chiaro che disordinata è l’azione, ma non la tavola, che rispecchia una perfetta costruzione dal taglio cinematografico.
L’edizione J-Pop contiene l’intera opera in un volume con pagine di dimensioni maggiori del normale. Il volume è un brossurato con sovracopertina. Purtroppo non sono presenti extra o articoli di approfondimento. Buona anche la cura del volume, avendo trovato solo due refusi.