Il Filo Nascosto di Paul Thomas Anderson | Recensione

Pubblicato il 21 Febbraio 2018 alle 20:00

Candidato a 6 premi Oscar, arriva in Italia il nuovo film di Paul Thomas Anderson, Il Filo Nascosto, ultima interpretazione del tre volte premio Oscar Daniel Day-Lewis.

Siamo di fronte all’ennesimo capolavoro di un autore che sembra capace di realizzare solo capolavori: da Boogie Nights, 1997, Paul Thomas Anderson ha continuato a cambiare genere e ad esplorare il cinema moderno rivisitandolo sotto un’ottica classica, sempre in controtendenza rispetto alle nuove correnti hollywoodiane – l’esatto opposto dell’altro gigante moderno, Nolan, che rivista altri generi e in tutt’altro modo, spingendo e non rallentando.

Magnolia, Vizio di Forma, Il Petroliere, Ubriaco d’Amore, The Master. Il Filo Nascosto.

P.T. Anderson realizza il cinema di oggi con lo stile austero e classicheggiante di ieri, rimanendo l’unico autore americano in grado, ogni volta, di compiere miracoli artistici e irripetibili, forse perché nessuno è in grado di fare quello che fa lui, come lo fa lui. Anderson affonda le mani nel petrolio, e rimane pulito; guarda negli occhi l’essenza della follia, restando assolutamente lucido; studia i comportamenti umani in relazione all’amore, alla dissolutezza, al potere, ma sempre senza giudicare.

Il Filo Nascosto rappresenta una perfetta chiusa della poetica del suo cinema nel XXI secolo: se il cineasta losangelino ci aveva raccontato della ricerca dell’amore e della pace interiore nella vita di coppia in Ubriaco d’Amore, se ci aveva spiegato la ricerca del potere e la bramosia capitalista ne Il Petroliere, se ci aveva delineato gli effetti dell’amore negato sull’anima umana (e soprattutto sulla psiche) in The Master, Il Filo Nascosto lega con precisione sartoriale (il gioco di parole era d’obbligo) tutti gli argomenti dei film precedenti, ma allo stesso tempo se ne distacca notevolmente assumendo toni da romanzo gotico (c’è un po’ di Jane Eyre), da thriller hitchcockiano (c’è anche un po’ di Rebecca – La prima moglie), da mèlo intrigante, seducente, sinuoso e insinuante.

Nella Londra post seconda guerra mondiale, la House of Woodcock è il più rinomato palcoscenico dell’alta moda britannica, frequentata da modelle, donne d’alto rango nobiliare, addirittura membri della famiglia reale. A gestire l’atelier è lo stilista Reynolds Woodcock, il creatore di tanta perfezione, aiutato da sua sorella Cyril, che pianifica ogni cosa. A stravolgere l’ordine naturale delle cose arriverà Alma, una ragazza di umili origini per la quale Reynolds, celebre scapolo, si innamorerà perdutamente.

Anderson descrive il sesso e la seduzione come arte sartoriale (eccezionale la scena in cui Reynolds prende le misure all’amata), il desiderio e l’attrazione vengono racchiusi simbolicamente nel rapporto ambivalente fra ispirazione e manipolazione, fra prevaricazione psicologica e soffocamento emotivo.

La storia d’amore tossico al centro de Il Filo Fantasma è inquietante e magnetica, e travalica i sensi riuscendo a rapire l’occhio (grazie alle composizioni delle inquadrature, fra luci algide e espressioni attoriali tanto sottili quanto affilate), l’orecchio (le sinfonie orchestrali di Jonny Greenwood immergono e avvolgono come abiti su misura), la mente (tanto simbolismo: come sempre con Anderson ogni immagine rimanda a qualcos’altro) e ovviamente il cuore, quell’organo che i due protagonisti cercano continuamente di celare, o di donare, o di strapparsi a vicenda.

E’ un film magnifico, Il Filo Nascosto. Appartiene a un cinema che non esiste più, eppure è ancora con noi. Anzi, grazie a P.T. Anderson, sembra non essersene mai andato.

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