Fagin l’Ebreo: il pregiudizio secondo Eisner | Recensione

Pubblicato il 22 Febbraio 2018 alle 10:00

001 Edizioni ripropone una delle ultime opere di un autore americano che ha cambiato per sempre il modo di leggere, scrivere e considerare i fumetti: Fagin l’Ebreo di Will Eisner, una storia che prende a modello il personaggio di Dickens per affrontare le delicate tematiche del razzismo, del pregiudizio e dell’emarginazione.

Will Eisner non ha bisogno di presentazioni: maestro del fumetto americano, creatore di The Spirit e di quella che viene considerata la prima graphic novel (Contratto con Dio), non a caso il suo nome è anche quello degli Oscar americani dedicati al fumetto, gli Eisner Awards.

Eisner morì nel 2005, dopo una lunga vita come autore completo di strips e graphic novel, e continuò a lavorare e a disegnare praticamente fino alla fine della sua vita. A dimostrarlo è proprio Fagin l’Ebreo, pubblicato per la prima volta nel 2003 e ora ri-edito in Italia da 001 Edizioni, preceduto sia dall’introduzione originale di Eisner sia dalla prefazione di un altro grande sceneggiatore americano: Brian Michael Bendis (con il quale condivide le origini ebree).

Preceduta da L’Ultimo Giorno in Vietnam, questa riedizione fa parte della collana di 001 Edizioni dedicata alle opere fondamentali di Will Eisner, ristampate in una lussuosa edizione cartonata e di grande formato affinché il lettore possa apprezzarne al meglio la tecnica e il segno.

Le prime pagine del volume introducono il rapporto tormentato tra Eisner e la tematica del pregiudizio, cominciato quando l’autore affiancò l’eroe Spirit con la spalla caricaturale di Ebony White, vittima del forte razzismo dell’epoca. Eisner, di origini ebree e quindi non insensibile al tema dell’emarginazione, si pentì di aver creato un personaggio così offensivo e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, cercò di ridimensionarlo, ma senza riuscirci appieno.

La difficoltà di Eisner era questo paradosso: il fumetto sfrutta spesso lo stereotipo per costruire i personaggi di una storia, ma come farlo senza essere razzisti? La soluzione è creare stereotipi più corretti e giusti, per quanto possibile: e l’autore cercò di farlo attraverso Fagin l’Ebreo, re-interpretando uno dei personaggi-chiave dell’Oliver Twist di Charles Dickens.

Eisner sceglie proprio Fagin perché Dickens, per tutto il romanzo, si riferisce a lui definendolo semplicemente “l’ebreo”, sottintendendo che questa sua caratteristica fa automaticamente di lui un ladro e un criminale. È lo stesso Fagin, sul finire della sua vita, che decide di raccontare a Dickens in persona la sua versione dei fatti, offrendo quella che è non una rivisitazione di Oliver Twist, ma la biografia di un personaggio che necessita di una sua dignità.

Il lettore viene quindi a conoscenza del background di Moses Fagin, figlio di ebrei esuli che fuggirono a Londra, città tollerante nei confronti del suo popolo. Fin dai primi anni d’età visse nella povertà, vittima dell’emarginazione, e imparò a conoscere a fondo i quartieri malfamati della capitale inglese, nonché a sopravvivere. Eisner inoltre indaga non solo il personaggio, ma anche la società ebrea londinese dell’epoca, divisa tra ebrei abbienti (immigrati secoli prima dalla Spagna) e miserevoli (come Fagin e la sua famiglia).

Fagin l’Ebreo può essere considerata un’opera minore di Eisner, come afferma anche Bendis nella sua introduzione, tuttavia anche i titoli meno noti contribuiscono a comprendere la poetica di un artista e di un autore: in questo fumetto il lettore ritroverà l’attenzione di Eisner per gli emarginati e le classi meno abbienti, ma anche il suo tratto, tra cartoon e realismo, che dopo The Spirit non è più caratterizzato da quel netto bianco/nero netto ma da malinconiche sfumature di grigio.

Come in quasi tutte le sue opere, il disegnatore americano non suddivide severamente la pagina in vignette, anzi: molte sono le pagine dedicate ad una scena singola, accompagnate da un breve testo (il racconto in prima persona di Fagin), cosicché la vignetta diventa una vera e propria illustrazione da contemplare in quanto singola.

Gli appassionati potranno quindi ritrovare il Will Eisner classico, che già da anni ha raggiunto la sua piena maturità artistica, e avranno l’occasione di approfondire come affrontò la tematica del pregiudizio, sia sul piano lavorativo che personale. In ogni caso, il messaggio finale è chiaro: nessuno nasce stereotipo, ma lo si diventa.

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