Eleanor e l’Airone, tra Belle Epoque e Surrealismo | Recensione

Pubblicato il 14 Febbraio 2018 alle 10:00

Una fiaba surreale senza morale, raccontata con il solo scopo di trascinare il lettore in un racconto atemporale dove gli animali parlano… e possono diventare ladri di opere d’arte! È questa la premessa di Eleanor e l’airone, scritto da John Layman e disegnato da Sam Kieth, dove le logiche dello spazio e del tempo vengono messe in discussione per perseguire un semplice obiettivo: quello di meravigliare!

Viene pubblicata anche in Italia la prima parte di una serie che si propone di essere qualcosa di “diverso” e di “strano” (rubando un paio di aggettivi all’introduzione dello sceneggiatore al volume), una chiave per evadere da fumetti non esattamente leggeri né da leggere né da scrivere. Con questo intento John Layman, già sceneggiatore di Chew, decide di dedicarsi ad una storia surreale, non priva di fascino: Eleanor e l’airone, disegnato nientedimeno che dall’illustratore del primo arco narrativo di Sandman, Sam Kieth. A completare il tutto ci pensano i colori di Ronda Pattison, già colorista per la IDW Comics.

Il primo volume, Prendere il volo, è edito in Italia da Saldapress e – senza spoilerare il finale – può essere considerato come un numero autoconclusivo. La storia ruota intorno ad una coppia insolita: Eleanor, una giovane donna che si muove in una Parigi di epoca non ben definita, ed Ellis, un airone parlante che si porta sempre appresso, sia come accessorio di un cappello alla Belle Epoque che nascosto in uno zainetto.

Quando è ambientata questa fiaba surreale? Non si sa. Inizialmente sembra che il racconto abbia inizio tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ma poi il lettore ritrova la stessa Elinor in contesti diversi: prima come signorina ottocentesca immersa nella contemplazione di un quadro, poi come ragazza a noi contemporanea in un negozio di animali. Queste contraddizioni temporali hanno però un’unica veste grafica, influenzata chiaramente da cornici e grafiche à la Mucha.

In questo contesto “fumoso” ci vengono presentati Elinor ed Ellis, una stramba coppia di ladri che ha preso di mira i quadri di tale Anastasia Rüe, pittrice “impressionista contemporanea” di grande talento. Ad indagare sulla serie di furti è l’ispettore Gilbert Belanger, sempre accompagnato dal suo gatto nero Cheswick. “Peccato” che tra Elinor e Gilbert scoppi una scintilla alla “Occhi di Gatto”, che vedrà l’ispettore prendersi una bella cotta per la ladra ornitologa (dimostrandosi però più sveglio di Matthew/Toshio).

Ma la trama è solo la minima parte di Eleanor e l’airone, un pretesto per indagare quel meraviglioso non-sense che è possibile raccontare quando si è consapevoli di star narrando qualcosa di assurdo: per questo il tempo è sospeso, proprio come in una fiaba, e nessuno si stupisce quando l’airone si mette a parlare o a rimpicciolirsi/ingrandirsi, come un personaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie.

Il tutto viene raccontato, sia nelle parole che nel disegno, nonché nella composizione della tavola, con raffinatezza ed eleganza, ma anche con molta ironia: il lettore deve solo sforzarsi un minimo di restare al gioco, o di questa fiaba surreale vedrà solo un mucchio di sciocchezze senza senso.

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