Black Panther di Ryan Coogler: il nuovo cinema secondo i Marvel Studios

Pubblicato il 20 Febbraio 2018 alle 13:00

Il nuovo film dei Marvel Studios è attualmente in programmazione nelle sale italiane.

Il sesto film della “fase tre” del Marvel Cinematic Universe (è la 18esima pellicola in totale) non è di certo il migliore finora, come decantano in questi giorni i colleghi d’oltreoceano, e anzi è addirittura lontano anni luce dall’essere un ottimo film, figuriamoci un film perfetto.

Al di là della pessima (davvero pessima) CGI, di una sceneggiatura scialba (non tanto nello svolgimento quanto nei dialoghi, molto spesso di un banale allarmante) e della quasi-generale confusione durante le scene action (ad eccezione della ben coreografata sequenza nel casino’, che è anche il turning point del film – ne parleremo fra poco – Coogler non sembra trovarsi molto a suo agio con le fasi cinetiche, a dimostrazione che sono le atmosfere drammatiche quelle più consone al suo talento) Black Panther soffre parecchio nella prima parte, e sembra non ingranare.

Il perché è semplice: nonostante questo film debba raccontare una storia di origini, un primo capitolo, debba cioè introdurre un personaggio al grande pubblico, si trova nella scomoda posizione di aver a che fare con un personaggio che il grande pubblico ha già incontrato (in Captain America: Civil War). All’inizio di Black Panther, T-Challa è già Black Panther, e tutta l’introduzione del rituale in cui perde i poteri solo per doverli riguadagnare dinanzi a tutti i capi-tribù del Wakanda è quasi del tutto insignificante (quasi, perché – ed è qui che il film si salva – più avanti diventerà fondamentale per lo sviluppo dell’antagonista) e ha il sapore di una falsa partenza.

Dopo di che, tra una copiatura de Il Re Leone e l’altra, arriva il turning point di cui sopra, e il film cambia radicalmente: non che da carbone si trasformi in diamante, beninteso, ma per lo meno inizia a dialogare col pubblico, e il tipo di dialogo intavolato è uno molto, molto maturo, fatto di quei sotto testi sociali, morali e politici di cui solo Thor: Ragnarok (il film più politico dei Marvel Studios, uscito quasi ad un anno esatto dall’elezione di Trump) aveva saputo farsi portatore prima di oggi.

Il Wakanda che ci descrive Coogler non è per niente l’utopia nera che il nostro protagonista crede che sia: snob e razzista quanto l’America di Trump ed isolazionista quanto la Korea del Nord, la ricchissima nazione africana si nasconde agli occhi del mondo e si finge un paese poverissimo per non attirare su di se l’attenzione degli altri. Potrebbe aiutare il resto dell’Africa, ma non lo fa. Potrebbe salvare milioni di persone, ma preferisce voltarsi dall’altra parte e badare ai propri interessi.

A questo punto è facile comprendere le motivazioni del villain Killmonger (semplicemente il miglior cattivo di questo universo cinematografico, e il miglior villain dal Joker di Heath Ledger), abbandonato dal Wakanda quando era ancora un bambino e testimone, per tutta la sua vita da adulto, delle condizioni sociali in cui versano le persone di colore nel resto del mondo, al di fuori dei confini territoriali della nazione superpotente nascosta da montagne olografiche. Perché il Wakanda non fa niente per le persone di colore che soffrono nei vari angoli del mondo? Perché i politici ricchi, sempre agghindati a festa con abiti eleganti e gioielli preziosi, non condividono le proprie fortune con chi muore di fame, con chi ha perso la casa per colpa della guerra, con chi è costretto a rubare per sopravvivere?

Grazie al punto di vista estremo del suo contendente, T-Challa verrà a capo delle pessime scelte politiche di suo padre e dei suoi antenati e dopo aver evoluto il proprio modo di pensare, di vedere il mondo e di guardare al Wakanda in relazione a quel mondo (diventa Martin Luther King, mentre Killmonger è Malcolm X fin dalla scena introduttiva), avvierà un processo di evoluzione sociale, di apertura politica, di collaborazione.

“I saggi costruiscono ponti, gli stupidi innalzano barriere” arriverà ad affermare il protagonista al termine del suo processo evolutivo che, vale la pena notarlo, non si ferma neppure dopo i titoli di coda (la battuta in questione arriverà nelle scene post-credit): e vale la pena notarlo perché, nonostante si tratti di un film a se stante poco più che mediocre, nel contesto di un universo più ampio allora diventa un bellissimo tassello aggiuntivo.

Se l’origin story di T-Challa è iniziata in Civil War, in Black Panther abbiamo assistito alla formazione del suo nuovo codice morale, fatto di apertura verso il prossimo, sostegno sociale, intervento politico … tutti elementi che saranno fondamentali in Infinity War.

E’ un nuovo modo di fare cinema, televisivo, programmatico, cinico, capitalista, colonizzatore, che si rivolge al portafogli delle masse ma spesso strizza l’occhio alla loro coscienza, in maniera estremamente sottile e raffinata (mi viene in mente la battuta di MJ sugli schiavi in Homecoming, forse perché Killmonger ne farà una ancora più schietta e brutale in questo film).

E’ un nuovo modo di fare cinema: lo hanno inventato ai Marvel Studios e funziona sempre meglio.

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