99 Giorni – Panini Noir: Recensione

Pubblicato il 21 Dicembre 2011 alle 12:18

Un one-shot targato Vertigo e ambientato nella Los Angeles violenta delle gang di strada, scritta dall’italiano Matteo Casali e disegnato da Kristian Donaldson, tradotto da Panini Comics per la linea editoriale Panini Noir!

99 Giorni

Autori: Matteo Casali (testi), Kristian Donaldson (disegni)
Casa Editrice: Panini Comics
Provenienza: USA
Prezzo: € 14,90, 14 x 20, pp. 200, b/n
Data di pubblicazione: ottobre 2011

Da alcuni anni numerosi autori italiani hanno iniziato a lavorare per la Marvel, la DC e varie etichette indipendenti e i tempi in cui il mercato fumettistico americano era chiuso nei confronti dei talenti extra-statunitensi sono lontani.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi si tratta di disegnatori. Non è, invece, elevato il numero degli sceneggiatori operanti nel comicdom a stelle e strisce. Ciò è dovuto al fatto che, secondo me, pochi sono in grado di scrivere testi in inglese e questa è una delle dimostrazioni del provincialismo di fondo che danneggia la letteratura disegnata nostrana.

Matteo Casali è una felice eccezione. Costui ha scritto storie per numerose realtà editoriali nazionali; ma è anche attivo in Europa e ultimamente ha instaurato rapporti professionali sia con la Marvel che con la DC, arrivando ad occuparsi di Astonishing X-Men e di Catwoman. Un altro suo interessante prodotto pubblicato negli Stati Uniti è 99 Days, one-shot proposto nella linea editoriale Vertigo Crime della DC e tradotto da Panini Comics per la collana Panini Noir con il titolo 99 Giorni.

Casali ambienta la storia in una Los Angeles che sembra uscita da uno dei tanti crime drama televisivi che avvincono un numero enorme di spettatori e, in effetti, il ritmo della narrazione rimanda chiaramente a questo tipo di fiction. Nella metropoli descritta da Casali, quindi, il crimine dilaga e sono soprattutto le gang afroamericane dei Crips e dei Bloods a farla da padroni. Antoine Boyd, protagonista del volume, è un detective irreprensibile e ligio alle regole che cerca di svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi.

Tuttavia, ha un passato orribile da nascondere: è, infatti, originario del Ruanda; un profugo, dunque, scampato a un terribile genocidio avvenuto nella primavera del 1994 e che ha subito traumatiche esperienze. E questi traumi, apparentemente sepolti, tornano a galla quando Antoine, suo malgrado, è costretto ad occuparsi di un caso di omicidio addirittura più efferato di quelli compiuti dai membri delle gang. Qualcuno, infatti, ha ucciso una donna con un machete. Il modus operandi non è tipico dei Crips e dei Bloods e, quando vengono ritrovate altre vittime, eliminate nella stessa maniera, è evidente che c’è un serial killer da qualche parte.

Come se non bastasse, Crips e Bloods danno vita a un conflitto che rischia di far precipitare la situazione, già piuttosto tesa, della città. Casali, con dialoghi e testi espressivi, descrive, con il pretesto di un noir, una società ossessionata dalle armi e dalla violenza, non dissimile da quella del Ruanda sconvolto dalla guerra. E lo fa denunciando l’ipocrisia del potere, l’avidità delle corporation, la violenza (innanzitutto psicologica) sui minori, nonché la sotterranea, strisciante corrente di razzismo che impregna ogni ambiente, dalle stazioni di polizia ai network radiofonici che enfatizzano i pregiudizi, fino ai lussuosi uffici dei businessmen, in un certo qual modo più spietati di un Crip o di un Blood, malgrado indossino maschere di rispettabilità.

Sebbene la trama, per ciò che concerne l’identità dell’assassino, sia un po’ prevedibile, Casali fa un buon lavoro, con un uso sapiente dei flashback, e concedendosi un citazionismo molto ironico che spazia da Shakespeare alla sottocultura hip hop (con un’insistenza sul gangsta rap), collegandosi persino al suicidio di Kurt Cobain e al bailamme mediatico da esso derivato. I disegni di Kristian Donaldson sono funzionali e il penciler, con giochi d’ombra suggestivi, riesce a rappresentare degnamente ogni aspetto della sceneggiatura. Nel complesso, 99 Giorni non è una pietra miliare ma un fumetto caratterizzato da indiscutibile professionismo: un esempio di ciò che potrebbero fare gli autori italiani se si decidessero a imparare a scrivere in inglese.

Voto: 7

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