La Fine della Ragione di Roberto Recchioni | Recensione
Pubblicato il 8 Febbraio 2018 alle 10:00
Cosa ne abbiamo fatto della libertà?
“La totale infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica ma un fattore determinante. La chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere. La chiacchiera garantisce già in partenza dal pericolo di fallire in questa appropriazione. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime da una comprensione autentica, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto.”
M. Heidegger, Essere e tempo, a cura di Pietro Chiodi, Milano, Longanesi, 1976, p. 163.
L’apocalisse è arrivata. Niente squilli di trombe. Niente Cavalieri né Anticristo. L’apocalisse “immaginata” da Roberto Recchioni nel suo primo lavoro targato Feltrinelli Comics è spaventosamente reale ed è tutta contenuta nel titolo La Fine della Ragione.
L’autore tratteggia un mondo arido in cui nei cieli non volano più aerei, perché le scie chimiche ci avvelenano, dove gli insegnanti sono nemici del popolo, perché tramandano le nozioni sbagliate, dove gli organi di informazione non esistono più, perché mentono, dove le frontiere sono chiuse, perché quelli che vengono da fuori sono tutti criminali e non c’è alcun motivo per abbandonare la propria casa.
In questo vero e proprio nuovo medioevo culturale e sociale in cui scienza e cultura sono state abiurate, una madre decide di contravvenire ad ogni regola e compiere un surreale viaggio alla ricerca dei “mitici” dottori, individui che grazie alla loro conoscenza possono curare la figlia malata.
Come narratore omodiegetico Recchioni colpisce duro e diretto ai grandi mali della nostra società: la relativizzazione del sapere e la dismissione della validità della scienza in favore di una distorta libertà di opinione e di una continua ricerca di razionalizzare in un sistema di causa-effetto che decodifichi in maniera unilaterale la complessità della vita.
La citazione del filosofo Martin Heidegger che apre la recensione assume allora un significato molto più chiaro. Heidegger fu fra i primi intellettuali ad avvertire la pericolosa strada che la società stava intraprendendo: nascondersi e agire dietro la logica del “si dice” “si fa” svuota l’uomo dalla responsabilità di scegliere delegando invece queste decisioni e mistificando così ogni possibilità di verità circoscrivendo, precludendo qualsiasi contatto con il mondo.
“Questa chiusura è ulteriormente aggravata dal fatto che la chiacchiera, con la sua presunzione di possedere sin dall’inizio la comprensione di ciò di cui parla, impedisce ogni riesame e ogni nuova discussione, svalutandoli o ritardandoli in modo caratteristico.”
M. Heidegger, Essere e tempo, a cura di Pietro Chiodi, Milano, Longanesi, 1976, p. 214.
Quello che colpisce nella descrizione della fine della ragione, nella caduta della società è la totale verosimiglianza nella successione degli eventi che la determinano e nelle loro dinamiche. Si inizia da semplici nozioni basilari – il terrapiattismo – contestate sui banchi di scuola fino ai grandi apparati economico-societari – i vaccini e le banche – di cui vengono disconosciuti il valore di convenzione sociale.
La nuova società che si viene così a creare, e che rispecchia una parte della attuale società, è quella in cui la viene progressivamente esacerbata una ipotetica forbice fra “noi” e “loro”, fra “il paese reale” che fa fatica a vivere e una “casta” di privilegiati armata di sapere e conoscenza fatta di concetti troppo sfumati ma soprattutto concretamente inutili.
Barattando così la “libertà” in favore di “sicurezza” e “tranquillità” la fine della ragione è calata sotto forma di cieco determinismo e nella peggiore delle ipotesi provvidenzialismo.
In questo tragico quadra l’autore innesta uno dei suoi topos prediletti: la figura della madre.
Di fronte alla possibilità di perdere sua figlia, la madre protagonista del libro è irragionevole e sovversiva perché rompe una convenzione sociale creatasi intorno ad una società del “si fa” la cui cifra ultima è una omologazione spersonalizzante: la ricerca di un medico, ancora più che di una medicina in senso lato, è una eresia che non deve essere incentivata né raccontata.
In questo senso la società perde il suo carattere aggregante in favore di una continua vigilanza reciproca per mantenere un cerchio chiuso e ristretto.
“La curiosità […] non si prende cura di vedere per comprendere ciò che vede, per “esser-per” esso, ma si prende cura solamente di vedere. Essa cerca il nuovo esclusivamente come trampolino verso un altro nuovo. Ciò che preme a questo tipo di visione non è la comprensione o il rapporto genuino con la verità, ma unicamente le possibilità derivanti dall’abbandono al mondo. […]
Non soltanto ognuno sa e discute di qualsiasi cosa gli sia capitata o gli venga incontro, ma ognuno sa già parlare con competenza di ciò che deve ancora accadere, di ciò che manca ancora, ma dovrebbe “ovviamente” esser fatto. Ognuno ha già sempre presentito e fiutato ciò che gli altri hanno presentito e fiutato. Questo esser-sulla-traccia […] è il modo più subdolo in cui l’equivoco può presentare all’Esserci le sue possibilità, perché le vanifica fin dall’inizio.”
M. Heidegger, Essere e tempo, a cura di Pietro Chiodi, Milano, Longanesi, 1976, p. 217-219
Graficamente La Fine della Ragione è una interessante commistione di linguaggi verbali e visivi: ci sono fulminanti parti in prosa, c’è tutta la parte con protagonista la Madre che è fumetto nel senso più classico del termine con Recchioni che si rifà con tratto ruvido e pittorico a certi maestri del fumetto americano anni ’80 – Frank Miller e Bill Sienkiewicz – mentre per i flashbacks in cui viene rinarrata la caduta dell società spesso si sconfina nell’illustrazione tendente al “meme” linguaggio visivo prediletto dei social network.
In questa commistione spiccano alcune particolari scelte particolari. La prima è legata alle pagine, nel senso che il libro è stato stampato come se l’autore/narratore stesse compilando con testi e disegni un taccuino. La seconda è l’utilizzo di una paletta che privilegia il rosso e le sue sfumature cioè il colore della passione, quella stessa passione di chi ha combattuto per “abbattere” il “sistema” e la passione della madre che si è messa in cammino per salvare la figlia. Il rosso è quindi il vero filo conduttore di questa società in perenne agitazione, agitazione che “diventa” marrone – e quindi si smorza in un momento di lucidità – nel climax prima di riaccendersi nel finale.
Ottima la cura carto-tecnica del volume edito da Feltrinelli Comics che mostra grande perizia non solo nel voler presentare ottimi titoli ma anche nel volerli confezionare in modo pregevole.
La Fine della Ragione è un libro caustico che, a dispetto dell’agilità di lettura, convoglia l’urgenza del suo autore di manifestare tutto il suo disagio nei confronti di una comunicazione illusoria, di una realtà artefatta in cui tutto diventa luogo comune.
La bellezza di questa riflessione, che sconfina nella satira e spesso nella vera e propria strafottenza, è che non si usa mai il termine “ignoranza”. Recchioni vuole smuovere le coscienze, promuoverne un esame che deve culminare nel riflettere prima di giudicare, di sviluppare una criticità data dal tacere, ascoltare, anziché dal parlare in maniera confusa.
L’Esistere, come direbbe Heidegger, non ha un posto e non ha casa piuttosto è una continua possibilità, una continua apertura al divenire.