The Cloverfield Paradox di Julius Onah | Recensione

Pubblicato il 5 Febbraio 2018 alle 15:30

A tempo di record vi parliamo di The Cloverfield Paradox, nuovo film del franchise creato da J.J. Abrams, da oggi disponibile a sorpresa su Netflix.

Ci sono tantissime cose da dire su The Cloverfield Paradox, terzo film della camaleontica saga horror-sci/fi iniziata nel 2008 come found-footage col capolavoro firmato Matt Reeves Cloverfield e proseguita nel 2016 con l’ottimo thriller claustrofobico 10 Cloverfield Lane, diretto da Dan Trachtenberg e scritto da Damien Chazelle.

Innanzitutto, l’uscita del film rappresenta l’ennesima innovazione di un panorama (quello cinematografico) in continuo mutamento: costato ben 45 milioni di dollari e affidato ad un regista esordiente (follia, e probabilmente farlo uscire al cinema avrebbe rappresentato un’assoluta Waterloo), il film è stato reso disponibile a sorpresa in tutto il mondo a pochi minuti di distanza dal rilascio del primo trailer ufficiale (durante il Superbowl di questa notte), senza alcuna campagna promozionale o comunicato stampa. Una mossa imprevedibile e senza precedenti che segna indiscutibilmente una linea di demarcazione nettissima nella storia del cinema (ma è ancora cinema se arriva nei salotti delle case senza passare dalla sala cinematografica?) e catapulta lo spettatore in una realtà completamente sconosciuta.

Quand’è stata l’ultima volta che ci siamo seduti davanti ad un film senza avere la minima idea di ciò che avremmo trovato dall’altra parte dello schermo? Nell’epoca in cui ogni pellicola è anticipata da sei trailer, venti spot televisivi e sessantasette behind the scenes, J.J. Abrams, la Bad Robots e Netflix rivoluzionano il gioco portando a tavola un prodotto pronto, anzi appena sfornato (letteralmente). Purtroppo quello che ci è stato servito è tutt’altro che la prelibata pietanza di uno chef stellato, ma un banale piatto di pasta asciutta non si rifiuta mai, soprattutto se inaspettato e noi siamo a stomaco vuoto.

C’è pochissimo Cloverfield in The Cloverfield Paradox, e al di là di qualche trovata (poche, ad essere onesti) l’unico paradosso è che per tutta la durata del film piuttosto che seguire la trama (spesso incomprensibile) ci ritroviamo a cercare di schivare (fallendo, perché è impossibile riuscirci) decine e decine di cliché del genere d’appartenenza: cliché che partono da Alien (1979) e arrivano fino all’altro ieri.

C’è l’idea di Interstellar di provare a riabbracciare la propria famiglia perduta nonostante la divisione fra i personaggi sia rappresentata dallo spazio, dalle dimensioni e dal tempo; ci sono le idee politiche di The Martian, c’è il gruppo multietnico di Life che coopera nel cielo quando invece sulla Terra le cose vanno peggio che mai (pure il finale è identico a quello del film di Daniel Espinosa); ci sono due tempi e due spazi (la trama principale si svolge nella stazione spaziale internazionale, quella secondaria – totalmente inutile – sulla Terra), cose che esplodono, cose che ghiacciano, tanti vermi e un impianto visivo a metà fra il povero e il non ispirato (e con 45 milioni di budget, che non sono tantissimi ma sicuramente neanche pochi, che il film abbia un aspetto così scialbo è inspiegabile).

The Cloverfield Paradox è quel regalo di Natale che nessuno aspettava, che ti fa esaltare quando lo trovi sotto l’albero e ti delude una volta scartato, e purtroppo rimarrà nella storia più come trovata pubblicitaria che come prodotto audiovisivo. In attesa del quarto capitolo – Overlord, ambientato addirittura nella seconda guerra mondiale, che non solo è già stato annunciato ma è già pronto, quindi chissà potrebbe uscire pure la prossima settimana – fareste meglio a riguardarvi i film di Reeves e Trachtenberg.

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