Lucy – La speranza | Recensione

Pubblicato il 29 Gennaio 2018 alle 10:00

Il lungo cammino di una dolce progenitrice vista da Patrick Norbert e Tanino Liberatore.

Finalmente arriva in Italia il racconto a fumetti sul viaggio dell’Australopithecus Afarensis, pubblicato in Francia da Capitol Editions nel novembre del 2007. A dieci anni esatti di distanza, Lucy – La speranza arriva sul territorio italiano grazie a Comicon Edizioni. Un’opera simile non poteva rimanere non tradotto e non permettere ai lettori che non conoscono il francese di goderne.

Lo sceneggiatore Patrick Norbert, in collaborazione con il paleoantropologo Yves Coppens, costruisce un cammino immaginario che la nostra progenitrice ha dovuto affrontare nel corso della sua vita. Il primo esemplare di ominide, che ha permesso agli studi antropologi di proseguire nel lungo e oscuro cammino delle nostre origini, venne scoperto nel 1974 dal paleontologo Donald Johanson, in una valle dell’Etiopia, denominata Auasc. Questa femmina di australopiteco, vissuta circa 3,2 milioni di anni fa, è stata fondamentale negli studi dell’evoluzione umana, soprattutto nel dimostrare che la scimmia passò da quadrupede a bipede prima ancora dell’evoluzione della scatola cranica. L’origine del nome è romantico: ogni sera della spedizione di ricerca, nel campo risuonavano ripetutamente le note di Lucy in the sky with diamonds dei Beatles. Una musica che ha accompagnato il ritrovamento e ha dato il nome che la identifica tutt’oggi nella memoria di chiunque.

Morbido, feroce, maternamente tenero e muto. Penso che le parole per descrivere l’opera di Patrick Norbert e Tanino Liberatore siano superflue ed eccessive. Per la prima volta per me, una recensione potrebbe finire in pochissime righe, perché non c’è assolutamente nulla da dire più di quello che hanno già detto i due autori. Proviamo, però, a sviluppare le singole parole che definiscono quest’opera:

MORBIDO

Si parte direttamente dal segno grafico di Tanino Liberatore. “Il più grande artista italiano dopo Caravaggio” (come lo definì Frank Zappa) mantiene alta la sua fama, regalando fotografie splendide dell’epoca del Pliocene con una resa visiva simile al reale. Aprendo il volume, si possono quasi vedere i peli dei corpi degli ominidi muoversi al vento. Toccando le pagine, sembra quasi che quelle teste marroni e quei petti villosi escano con prepotenza dalla carta, sfondando a manate la quarta parete. Si ha per un attimo l’impressione di avere tra le mani un libro tattile, come quelli per l’infanzia, per poter sperimentare con mano cosa significasse vivere nell’era Cenozoica. Stavolta Liberatore usa tecniche digitali, mantenendo il suo colore inconfondibile. Una storia da abbracciare, coccolare e ammirare con lo stesso sguardo languido della protagonista in copertina.

FEROCE

Lucy non è mai sola: dopo aver perso il resto della sua tribù, l’ominide vaga in cerca di un posto sicuro. A farle da vigilante c’è Adam, un suo simile allontanato da un’altra tribù in seguito a una lotta per la supremazia. Adam è grosso, imponente, cacciatore, ma al tempo stesso tenero e preoccupato. Come un deus ex machina, interviene sempre nel momento del bisogno di Lucy, collaborando con lei nel eliminare ogni nemico brutalmente e senza accenno di pietas. La commistione di Natura e umanità porta nel lettore a un’alternanza di sentimenti: orrore, amore, timore, pace e curiosità. Tutti questi si mescolano nella pancia di chi vede cosa tutte le Lucy del mondo hanno affrontato nei secoli.

MATERNAMENTE TENERO

Mamma di uno, mamma di tutti: il piccolo che porta con sé è simbolo di un’umanità da proteggere contro i pericoli dell’evoluzione verso il quale si stanno incamminando. In quel momento, nessuno di loro sa se sopravviverà o meno e il domani è un mistero da combattere in ogni momento della giornata. La scena del combattimento contro i babbuini è esemplare: la rabbia di Lucy, che devasta ogni essere vivente pur di recuperare il figlioletto rapito, costruisce un ponte empatico con noi, trasportandoci dentro la Storia e facendoci diventare Adam, il primo uomo della storia. Qui Adam non è più una scimmia, ma un contenitore vuoto che ospita la coscienza di coloro che si apprestano a leggere la storia di Lucy.

MUTO

Non è semplice narrare milioni di anni e indovinare ciò che Lucy faceva 3,2 milioni di anni fa, ma soprattutto cosa la spinse così lontano dagli altri suoi simili. Patrick Norbert ci prova nella maniera meno invasiva possibile: quella del documentario. Lascia “parlare” Lucy con i suoi gesti, le sue movenze e le sue azioni, aiutando il lettore a decodificare ciò che il suo cuore di madre prova in quel momento. Non esiste alcuna onomatopea, alcun verso: le urla, i grugniti e i suoni della natura vengono eliminati, lasciando al lettore il compito di inserirli a scelta all’interno della narrazione. Le didascalie, tramite le quali comunica usando un linguaggio umano, fungono da accompagnamento alla lettura, nel caso ci dovesse sfuggire qualche momento narrativo. Immagini e parole viaggiano su due binari tangenti in un solo punto: si vengono così a creare più momenti narrativi a incastro. Proprio come in un documentario, non si fa in tempo a finire di leggere una didascalia che già l’immagine racconta l’attimo successivo. Una storia sempre in movimento, mai ferma, perché la determinata Lucy è una donna da inseguire e sulla quale soffermarsi a osservare ogni sua azione.

 

 

 

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