La Forma dell’Acqua di Guillermo Del Toro | Recensione

Pubblicato il 13 Febbraio 2018 alle 20:00

Dopo il Leone d’Oro all’ultima edizione della Mostra dell’Arte Cinematografica di Venezia, esce finalmente nei cinema di tutta Italia La Forma dell’Acqua, il nuovo film di Guillermo Del Toro.

Non c’è assolutamente nulla di nuovo né tanto meno qualcosa di innovativo nella nuova fatica del sensazionale autore messicano Guillermo Del Toro, eppure tutto quello che troverete ne La Forma dell’Acqua – e con tutto intendiamo ogni singolo dettaglio – è semplicemente perfetto.

Stati Uniti, 1962. Mentre il mondo è in bilico su quella che i giornali definiscono una guerra fredda fra americani e sovietici, la vita di Elisa (Sally Hawkins) va avanti giorno per giorno senza pretese: affetta da mutismo e appassionata del balletto, condivide la vita domestica con Giles (Richard Jenkins), pittore gay di mezza età, e quella lavorativa con Zelda (Octavia Spencer), l’unica che sembra averla a cuore nell’enorme struttura governativa in cui è assunta come addetta alle pulizie.

All’interno di una cisterna d’acqua che vengono chiamate a ripulire, le due scopriranno una creatura anfibia vagamente umanoide che il governo USA ha scovato in sud-America e che il temibile e spietato colonnello Strickland (Michael Shannon) detiene segretamente e violentemente allo scopo di studiarla e utilizzarla contro i sovietici.

Ma Elisa, sola e romantica, svilupperà un rapporto d’amicizia con la creatura … amicizia che forse è destinata a diventare qualcosa di più.

Come nella miglior tradizione deltoriana, il granguignolesco regista di Cronos  e Mimic mescola ambientazioni storiche con elementi fiabeschi (in passato ai limiti dell’horror, qui ci sarà della violenza ma le atmosfere saranno molto più sognanti e romantiche che nei lavori precedenti) per raccontarci il nostro mondo visto attraverso una lente d’ingrandimento fantasy che abbellisce senza mai distrarre: la Spagna di Franco e della guerra civile diventa l’America della guerra fredda, elementi da spy-movie sostituiscono quelli da ghost-story o da racconto di formazione, e il risultato diventa ben più del semplice (ed evidentissimo) omaggio a Il Mostro Della Laguna Nera di Jack Arnold (uno dei film preferiti di sempre di Del Toro) che si può preventivare solo osservando l’essere anfibio interpretato da Doug Jones (storico collaboratore del regista).

La Forma dell’Acqua è una favola adulta sul razzismo, sulla solitudine e sul sentirsi diversi dagli altri: è un film divertente, coinvolgente, con ottimi momenti di tensione, squisitamente romantico, velatamente erotico (troppo velatamente, forse, c’è molta concretezza ma spesso e volentieri accade fuori campo) e visivamente appagante.

E’ un film di liquidi – spesso i film di Del Toro sono molto liquidi – in cui l’acqua ha un ruolo fondamentale per la protagonista: non si arriva ai livelli di Chiamami Col Tuo Nome (lì lo scroscio eccitante dell’acqua era ovunque) ma i picchi (non altissimi) di erotismo, questo film li tocca sempre in presenza dell’acqua.

E’ anche – e soprattutto – un film di mostri, dove i mostri – come spesso accade con Del Toro – non hanno né squame né branchie, ma una casa, una famiglia, un completo giacca e cravatta e un lavoro ben pagato.

Di certo non si tratta del miglior film di questo straordinario regista visionario (La Spina del Diavolo è ancora sul gradino più alto del podio) ma vista la valanga di nomination/vittorie ottenute ai premi cinematografici più prestigiosi, si appresta molto probabilmente a diventare il suo lavoro più celebre, detronizzando dopo tanti anni quel Il Labirinto del Fauno che nel 2007 lo portò agli Oscar facendolo tornare a casa a mani vuote (il film ne vinse tre, tutti tecnici): è già arrivato un Golden Globe, quindi chissà che questa non sia la volta buona.

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