Robert Kirkman’s Secret History of Comics | Recensione

Pubblicato il 9 Gennaio 2018 alle 20:15

Robert Kirkman, creatore di The Walking Dead, produce una serie di documentari sulla storia dei comics.

Robert Kirkman, creatore del fenomeno The Walking Dead, ha prodotto per il network AMC – lo stesso che trasmette la serie TV tratta dal suo fumetto di successo – Robert Kirkman’s Secret History of Comics una serie di 6 documentari in cui si esaminano altrettanti avvenimenti, personaggi e personalità che hanno contribuito a modificare la percezione del medium fumetto, e più specificatamente quello americano, da semplice intrattenimento ad industria complessa, remunerativa e globalmente riconosciuta e riconoscibile.

Si parte con The Mighty Misfits Who Made Marvel con la nascita della Marvel Comics. L’episodio inizia in maniera abbastanza blanda saltando qualsiasi tipo di cenno storico, e storiografico sia sulla nascita dei comics in senso moderno e sul ruolo della casa editrice concorrente la DC Comics, e puntando tutto sul carattere rivoluzionario e prorompente della casa editrice.

Questa prima parte fallisce nel suo intento di narrare l’affascinante evoluzione della Timely in Atlas e poi in Marvel perché non riesce a dare un quadro ampio ed interessante sulle differenze di registro che questi personaggi avevano rispetto a quelli più “attempati” della DC se non con brevi e superficiali accenni.

Seconda parte dell’episodio molto, molto più interessante e si potrebbe riassumere con una semplice domanda che l’intervistatore rivolge a Stan Lee: perché Jack Kirby lasciò la Marvel?

Si inizia così a scavare nel successo della Marvel. Da un lato emerge la figura di un brillante ed entusiasta Stan Lee, quello delle grandi intuizioni commerciali ed editoriali come il “metodo Marvel” (cioè il non fornire una sceneggiatura completa ai disegnatori ma solo un plot di base da cui potersi liberamente farsi ispirare), dall’altro però Stan Lee viene dipinto come un personaggio “larger-than-life” che eclissò non solo il grande Jack Kirby ma anche un altro disegnatore strumentale al successo della casa editrice ovvero Steve Ditko co-creatore di Spider-man.

Se rincuora sentire l’onestà con cui Lee parla ancora dei personaggi e della nascita della casa editrice, intristisce moltissimo vedere uno scampolo di una rarissima video intervista a Jack Kirby in cui il disegnatore, con molti anni di anticipo, evidenzia come creatori – e creativi – vivono su un “piano diverso” rispetto a quello delle case editrici e dei loro dirigenti.

Un episodio che non riesce perfettamente ad inquadrare la complessità del passaggio da casa editrice “golden age” ad “azienda” – nel senso più moderno del termine – ma riesce comunque ad evidenziare come la storia della Marvel, ed il suo successo, sia stati tutt’altro che privi di momenti bui.

Il secondo episodio è incentrato sulla DC Comics e su Wonder Woman a dimostrare come anche il grande pubblico sia stato sensibilizzato dall’eroina soprattutto dopo l’ottima pellicola di Patty Jenkins con Gal Gadot.

In The Truth About Wonder Woman si ripercorre la genesi dell’eroina più famosa al mondo e l’impatto che ha avuto nel mondo dei comics e più in generale sulla cultura popolare. Così come accaduto per il primo episodio anche questo secondo indugia e “romanza” moltissimo, soprattutto nella prima parte, su aspetti che poco hanno a che fare con il personaggio. Nello specifico qui si insistete, in maniera a tratti davvero morbosa, sui particolari della vita privata davvero poco convenzionale del creatore di Wonder Woman ovvero William Moulton Marston.

Se è assolutamente vero che gli studi in psicologia e sociologia così come lo spiccato femminismo di Marston furono strumentali alla creazione del personaggio, rimarcare l’eccezionalità della sua vita coniugale a tre – con moglie ed amante – non solo fa calare l’attenzione dello spettatore ma toglie minuti preziosi al racconto legato a personaggio che viene condensato nella seconda parte ma senza purtroppo poterne approfondire nessun aspetto.

Si accennano appena le tematiche portanti ditro la creazione del personaggio così come appena accennata è la differenza fra Wonder Woman e le sue controparti maschili che monopolizzavano le pubblicazioni dei primi anni ’40. La parte più interessante è sicuramente il fugace excursus storico e la (de)voluzione del personaggio con la morte del suo creatore con l’edulcorazione dagli anni ’50, la perdita di identità degli anni ’60 ed il ritorno in auge negli anni ’70.

“It doesn’t change what has been accomplished” [“non cambia quello che è stato raggiunto” – NdA] è la frase che Patty Jenkins, la regista del recente Wonder Woman, pronuncia in merito alla vita di Marston e riassume molto bene lo spirito con cui si sarebbe dovuto parlare del personaggio. Una occasione banalmente sprecata.

Al giro di boa arriva il momento per un episodio dedicato al primo e più grande supereroe: Superman.

The Trials of Superman rinarra la nascita dell’eroe attraverso la tragica esperienza dei suoi creatori Jerry Siegel e Joe Shuster sia dal punto di vista umano che professionale: la prima parte dell’episodio infatti riesce a centrare molto bene le difficoltà che i due ebbero nel vedersi pubblicato il loro personaggio. Il carattere assolutamente innovativo, e che fra le altre cose sancì la nascita di un intero genere letterario, fu senz’altro uno degli ostacoli maggiori alla fine degli ’30 soprattutto in relazione ad un mercato “nuovo” e dominato non solo da generi diversi come western e detective stories ma soprattutto ancora principalmente incentrato sull’idea di strip (striscia) piuttosto che di comicbook così come inteso ancora oggi.

E’ puntuale anche l’enfasi su come l’inizio della Seconda Guerra Mondiale contribuì a rendere Superman una vera e propria icona: il personaggio si trovò “al posto giusto nel momento giusto” contribuendo ad incarnare quelli che erano gli ideali e la spinta patriottica dell’epoca.

Seppur il filo conduttore di questo terzo episodio rimangono le battaglie legali che i due intrapresero con la DC Comics, già dal 1947 e a fasi alterne per tutta la vita, la narrazione risulta incredibilmente equilibrata gettando con sguardo critico una luce sulle vicende extra-fumettistiche del personaggio e mostrandone, anche se in maniera non approfondita, i cambiamenti che lo coinvolsero ad esempio negli anni ’50 con la comparsa dello show televisivo – che accentuò l’idea che ci fosse una parte migliore in ognuno di noi giocando sulla dualità del personaggio – e negli anni ’70 con l’uscita del film.

Rispetto al primo episodio in cui in qualche modo si cerca di “riabilitare” la figura di Stan Lee, qui i fatti vengono esposti in maniera molto più analitica, franca ma più imparziale: si mostra l’ingenuità dei due creatori ma anche la loro resilienza nella battaglia per vedersi riconosciuti, e ricompensati, mentre la DC viene comunque dipinta come una grossa corporazione che si muove per i propri interessi pur riconoscendo, alla fine di tutte le diatribe, il merito dei due.

Interessanti infine alcuni piccoli retroscena come il ruolo fondamentale giocato da Neal Adams durante gli anni ’70 al fianco di Siegel & Shuster e quello legato a Lois Lane modellata sulla fattezze della moglie Joanne.

Il quarto episodio è singolare e commovente, una lettera d’amore verso quella che viene definita “la città degli eroi” ovvero New York City.

City of Heroes fa rivivere, attraverso testimonianze molto eterogenee passando da esponenti del fumetto a quelli del cinema, il ruolo fondamentale che la Grande Mela ha giocato nell’immaginario collettivo diventando terreno fertilissimo grazie al suo meltin pot culturale per la nascita dei comics in senso moderno.

Viene fatto notare come questa influenza sia stata reciproca: i cambiamenti sociali e politici vissuti da New York venivano traslati nelle pagine dei fumetti. Le lotte sociali degli anni ’60, la violenza degli anni ’70 e l’arrivismo politico degli anni ’80 hanno trovato una “valvola di sfogo” nei comics accorciando così la separazione fra realtà e finzione.

Tuttavia, come facilmente intuibile, il perno su cui ruota l’episodio sono gli attentati del 9/11. Quei tragici eventi non solo avrebbero mutato drasticamente la città, ed il suo skyline, ma avrebbero anche mutato la percezione dell’idea di eroismo.

Quello che colpisce maggiormente però non è il soffermarsi su come l’11 settembre abbia eventualmente cambiato il modo di scrivere comics piuttosto il documentario pone l’accento sulla legittimazione del medium che per primo era stato capace di catturare la tragedia di quei momenti e gli atti di vero eroismo. Per il fumetto, nordamericano inteso come prettamente supereroistico, i primi 50 anni erano stati grossomodo impiegati per farsi riconoscere come forma d’arte, quella tragedia, ed il modo in cui il mondo dei comics, vi reagì furono catalizzatore senza dubbio per un riscatto.

Il punto focale è che seppur i comics non potevano competere con la tragedia che si era consumata potevano aiutare a superare, elaborare, quel momento. Interessante in tal senso sono i due esempi presi in considerazione: da un lato il primo Spider-man cinematografico di Sam Raimi che impersonò quel senso di riscatto ed identità post-9/11 dall’altro Captain America che invece impersonò quel senso di inadeguatezza verso una politica che “strumentalizzò” quegli avvenimenti polarizzando così tutta l’opinione pubblica, in quel clima nacque la seminale Civil War.

Come invece il “terrore” abbia modificato le vite e la percezione della realtà viene spiegato con il superbo secondo capitolo della trilogia cinematografica di Christopher Nolan, The Dark Knight, in cui il personaggio del Joker incarna alla perfezione quell’idea di male caotico e nichilista post-9/11. In questo clima di incertezza la linea che separa eroi e “cattivi” diventa sempre più sottile.

Forte dell’inerzia del precedete episodio, il quinto episodio è forse quello più interessante dal punto di vista filologico e storico. In The Color of Comics infatti si ripercorre la storia della Milestone, casa editrice nata negli anni ’90 per volontà di un gruppo di artisti e scrittori di colore, che si prefissarrono l’obbiettivo di proporre esclusivamente personaggi di colore.

Dalle prime rappresentazioni di personaggi di colore, passando per i primi eroi come il seminale Black Panther fino alla nascita della suddetta Milestone e oltre, l’episodio tratta in maniera intelligente ed abbastanza approfondita il tema della diversità nei comics.

I punti di vista della narrazione sono due, quello di Denys Cowan – uno dei più brillanti disegnatori di colore – e Dwayne McDuffie – scrittore di primissimo piano scomparso qualche anno fa. L’esperienze ed i background dei due, diversi seppur simili, si intrecciano nell’esperienza Milestone – sotto-etichetta che nacque nel 1992 in seno alla DC Comics – con la quale vennero proposti eroi di colore ma non solo.

Senza ombra di dubbio questo episodio è il migliore di questa serie di documentari non solo per la qualità di testimonianze raccolte e per una regia equilibrata ma soprattutto perché riesce ad unire l’inevitabile racconto “storico” dell’avventura della Milestone con riflessioni puntuali e lucide sull’argomento.

Cosa significa narrare le avventure di un personaggio di colore? e più in generale cosa rappresenta un personaggio di colore?

Se da un lato la Milestone fece da cassa di risonanza per una voce che aveva trovato già sbocchi in altri media – l’hip hop e/o il cinema di Spike Lee ad esempio – dall’altro l’intenzione degli autori era quella di realizzare soprattutto storie che avessero un forte richiamo con la realtà.

E’ interessante quindi la doppia conclusione che si può trarre alla fine dell’episodio: se viene rimarcata la necessità di dare una voce afroamericana a personaggi afroamericani sarebbe impossibile affidare ad un solo personaggio l’intero peso di una cultura. Ecco quindi che le parole di Stan Lee su Black Panther risuonano attuali: una storia di questo tipo deve innanzitutto lottare contro la “bigotteria” senza così confondere la sua valenza sociale con messaggi forzatamente politici.

Non poteva chiudersi se non con un episodio dedicato alla Image Comics questa serie di documentari prodotti da Robert Kirkman che oggi, di quella casa editrice, è uno degli esponenti più importanti e vocali.

In Image Comics, Declaration of Independents si ripercorre la nascita della compagnia partendo dalla decisione, agli inizi degli anni ’90, da parte di un gruppo di disegnatori di staccarsi dalla Marvel per cui fino ad allora avevano lavorato con risultati stratosferici per cercare fortuna con personaggi propri e di cui avrebbero mantenuto il pieno controllo creativo.

Se nella prima parte dell’episodio si indugia ovviamente sulla ricostruzione storica della nascita della Image – usando come contraltare alle motivazioni dei disegnatori il trattamento ricevuto anni prima da Jack Kirby così come raccontato parzialmente nel primo episodio – e quindi sulla sua ascesa, la seconda parte è senz’altro più interessante perché cerca di scavare nelle motivazioni che portarono quella Image al collasso.

Viene spiegato come il successo iniziale fu merito di una maggior cura carto-tecnica degli albi ad esempi e sulla grande attrattiva grafica che le nuove serie ebbero sul pubblico dell’epoca cavalcando gusti e mode ma come fossero “scritti male” così come confessa Todd McFarlane – il creatore di Spawn – e come furono parte di quella bolla speculativa che fece collassare il mercato con una inflazione delle vendite alimentata da copertine variant e simili che alimentarono quel circolo vizioso per cui collezionisti e non compravano grandi quantità di albi nella speranza di rivenderli poi a prezzi record negli anni successivi.

Accennando, molto velocemente, all’intuizione di Jim Valentino – uno dei fondatori – di “diversificare la proposta” per recuperare terreno in termini di critica e vendite, l’episodio passa subito ad incensare non solo il ruolo di Robert Kirkman e della sua creatura The Walking Dead ma anche quello che la “nuova” Image avrebbe avuto nel legittimare il “medium”… un po’ troppo riduttivo soprattutto se si finisce con il fare una carrellata spot su quelli che sono gli attuali best-seller della casa editrice.

L’episodio è acerbo: la ricostruzione storica è sufficiente, ma comunque più approfondita in altri documentari, mentre gli spunti interessanti vengono appena accennati preferendo concentrarsi sulla celebrazione dell’attuale Image.

Robert Kirkman’s Secret History of Comics è senz’altro un esperimento interessante ma non riesce a centrare il bersaglio. Una serie di documentari per parlare del mondo dei comics da angolazioni inusuali e di argomenti non scontanti è una formula innovativa ma troppo spesso gli episodi indugiano su aspetti auto-celebrativi o “romanzano” quelli marginali che potrebbero invece far presa su un pubblico “generalista”.

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