Tutti i Soldi del Mondo di Ridley Scott | Recensione

Pubblicato il 5 Gennaio 2018 alle 20:15

Arriva in Italia il tanto chiacchierato Tutti i Soldi del Mondo, nuovo film di Ridley Scott candidato a tre Golden Globes.

Non serve essere appassionati di cinema né tanto meno fan di Ridley Scott per aver sentito parlare di Tutti i Soldi del Mondo, film che nell’ultimo paio di mesi è stato al centro di tantissime polemiche e diatribe a causa delle accuse di molestie sessuali rivolte a Kevin Spacey.

Doveva essere proprio l’attore premio Oscar per I Soliti Sospetti e American Beauty la star del nuovo film di Ridley Scott, e infatti nelle prime foto ufficiali e nel trailer di debutto era lui – sotto una valanga di trucco prostetico – a indossare i panni eleganti ma moralmente sudici di John Paul Getty. Qualche decina di scandali sessuali dopo Spacey viene silurato e al suo posto compare Christopher Plummer (la prima scelta di Scott, ma i produttori avevano deciso di optare per un nome più altisonante), molto più adatto a impersonare l’avarizia e l’aridità sentimentale del magnate petrolifero. Non a caso, in un film un po’ altalenante e non esente da difetti, è proprio Plummer l’unica costante eccellente.

La storia la conosciamo: a Roma, nel 1973, l’Ndrangheta rapisce il sedicenne John Paul Getty III (Charlie Plummer), nipote di John Paul Getty (Christopher Plummer, ma nessuna parentela fra i due fuori dal set), l’uomo più ricco del mondo (non solo del mondo, anzi, ma come viene sottolineato “dell’intera storia dell’uomo”, almeno fino ad allora). J. P. Getty però non è solo l’uomo più ricco del mondo, è pure il più taccagno, e di pagare il riscatto di 17 milioni di dollari richiesto dai rapitori proprio non ne vuole sapere.

Unico aiuto per Gail Harris (Michelle Williams), madre del ragazzo ed ex nuora dell’avido capitalista, è Fletcher Chase (Mark Wahlberg), fixer ex CIA che Getty spedisce in Italia per negoziare coi rapitori.

A Scott della psicologia umana non è mai importato nulla e infatti i personaggi del film e le loro caratterizzazioni sono lasciate allo stato primordiale (Getty è la rappresentazione antropomorfa del capitalismo, è lo Scrooge degli anni ’70) o sviluppate grossolanamente (Fletcher Chase, fixer elegante come il Mr. Wolf di Pulp Fiction o il Josh Brolin di Ave, Cesare!, svilupperà dal giorno alla notte un’opinione tutta nuova del suo datore di lavoro), tanto quanto è sviluppata grossolanamente la sceneggiatura di David Scarpa (quello de Il Castello), che mescola un po’ a caso voice-over e flashback e spazio/tempo (Roma e la Calabria sembrano separate da un giretto in tangenziale).

Ma se a un regista di questo calibro, talmente legato alla visione e alla messa in scena e talmente esperto, consegni uno script non particolarmente eccezionale, lui sarà comunque capace di esagerare: e infatti sebbene Tutti i Soldi del Mondo non si avvicini mai ai livelli di tensione di film come Zodiac (ma neanche a poterli osservare da lontano col binocolo) Ridley Scott confeziona (è il caso di dirlo, visto i reshoot e il ri-montaggio da Guinnes dei primati in appena due settimane) un film di acuti, un film fatto di momenti, spesso mai più che normale, a volte banale o sonnecchiante, di tanto in tanto estremamente sofisticato e affilato e con grandi momenti di cinema.

Un film che è anche molto citazionista, fin dal prologo in via Veneto (La Dolce Vita), passando per il deserto saudita (Lawrence d’Arabia, uno dei film preferiti di Scott; c’è un’inquadratura praticamente identica), James Cameron (la partenza della nave di Getty sembra quella del Titanic), un pizzico de Il Gladiatore e chiaramente gli spaghetti-western, e non solo per i primi piani di personaggi sudatissimi nel sud Italia (in camera del sedicenne rapito Scott piazza un poster gigante de Lo Straniero Senza Nome di Clint Eastwood, film uscito proprio nell’anno in cui avvenne il rapimento).

Insomma, di certo non fra i più grandi film di Ridley Scott, ma stiamo parlando di un progetto di passaggio nella filmografia di un regista tanto capitalista quanto Paul Getty (se il magnate del petrolio si considerava la reincarnazione di Cesare Augusto, Scott è colui che in Exodus diede la parte di Dio a un bambino, come per ribadire che nel cinema l’unico demiurgo adulto è il regista), e soprattutto di un’artista ottantenne al terzo film del 2017 (dopo Covenant, e contando Blade Runner) e che è già al lavoro sulle prossime pellicole. Non male, a pensarci.

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