Godless di Steven Soderbergh e Scott Frank | Recensione

Pubblicato il 12 Dicembre 2017 alle 20:00

La mini-serie in sette episodi è disponibile su Netflix.

I leggendari Scott Frank e Steven Soderbergh ci raccontano il vecchio West fra la vita, la morte e tutto ciò che le separa in Godless, mini-serie in sette episodi targata Netflix molto lontana tanto dalle atmosfere shakespeariane di Deadwood quanto da quelle metafisiche di Westworld:  tra classici della cinematografia di genere come I Cavalieri del Nord Ovest, Sentieri Selvaggi e Il Cavaliere della Valle Solitaria, Godless fa quello che dovrebbe fare ogni grande epopea western, ovvero spiegarci il nostro mondo raccontandocene uno che non esiste più.

E non solo la mini-serie riesce nel suo intento, ma lo fa anche con una classe insuperabile: quest’anno in televisione nessuno ha saputo parlare il linguaggio cinematografico meglio di Godless (perfino Mindhunter sembra un po’ più tv e meno cinema in confronto, e che entrambe siano prodotte da Netflix la dice lunga), e ognuno dei sette episodi che la compongono (di durata variabile fra i cinquanta minuti e l’ora e venti) meriterebbe di essere studiato nelle scuole di cinematografia; specialmente l’ultimo episodio, che fa per le scene di sparatorie in tv quello che La Battaglia dei Bastardi ha fatto per le sequenze di combattimento all’arma bianca in grande scala, e che nell’ultimo, emozionante montaggio raggiunge vette di pura arte cinematografica.

Dal forte retrogusto mitologico, sia biblico che storico (“Questo è il paradiso delle locuste, delle lucertole e dei serpenti. E’ la terra delle lame e dei fucili. E’ un paese senza dio”), Godless racconta la storia di un giovane ragazzo, Roy Goode (Jack O’Connell), che viene abbandonato dal fratello maggiore e fa ciò che può per sopravvivere nello sconfinato e pericoloso West di fine ottocento, una terra senza Dio dove Frank Griffin (un gigantesco Jeff Daniels) è il più temibile e spietato dei fuorilegge.

Frank adotterà il piccolo Roy, ma le loro nature ambivalenti li porteranno ad un inevitabile separazione che potrà essere risolta soltanto a suon di proiettili. Nel mezzo della disputa fra i due fuorilegge La Belle, una piccola cittadina mineraria del New Mexico: gli uomini che la abitavano sono tutti morti in un tragico incidente nella cava di quarzo, e ora a difendere le vedove e gli orfani è rimasto solo lo sceriffo  Bill McNue (il bravissimo Scoot McNairy) e il suo giovane vice Whitey Winn (il Thomas Brodie-Sangster de Il Trono di Spade).

La sanguinosa e implacabile ricerca messa in atto da Frank per ritrovare il suo figlio ribelle e punirlo per i suoi peccati sembra una corsa inevitabile verso il proprio destino manifesto, con il viaggio verso l’ovest che richiama il folle sogno di un paese – gli Stati Uniti d’America – che dal ‘700 in poi ha fatto dell’esplorazione delle terre selvagge e della loro “civilizzazione” la propria guerra santa.

Il concetto mooooolto contraddittorio di come questa civilizzazione veniva impartita è un aspetto che i classici del genere suggerivano spesso e volentieri, e che Godless dimostra di conoscere altrettanto bene, mostrandoci il piccolo villaggio di ex-schiavi che vive separato dal resto della comunità (le loro casette isolate sembrano le antenate dei ghetti dell’America moderna) o la figura errante del misterioso indigeno, più idea che essere corporeo, più fantasma che persona reale, metafora di un popolo eradicato il cui sangue impregna ancora quelle terre.

Importantissima inoltre la figura della donna: se nei classici rappresentava la stabilità e l’ordine – in contrapposizione al caos e la destabilizzazione di quell’ordine portati dalla figura del protagonista, spesso pistolero viandante esclusivamente di passaggio, pronto a ripartire verso il tramonto poco prima dei titoli di coda – qui la donna è ribelle, fierissima, pronta a difendere la propria casa in maniera indipendente perché è questo che il mondo in cui vive pretende da lei (mostratemi una metafora più attuale di questa e sarò lieto di stringervi la mano).

Scott Frank mescola le atmosfere poetiche ma disincantate della sceneggiatura ad una regia di rara eleganza e complessità per ritrarre tanto i lati selvaggi e brutali quanto quelli meravigliosi della terra di frontiera, e la nostalgica fotografia di Steven Meizler regala scorci indimenticabili, accompagnati dalla sognante colonna sonora di Carlos Rafael Rivera.

Il dominio del western sulla cultura pop potrà anche essere terminato molto tempo fa, ma il genere è ancora vivo e soprattutto ancora saldamente radicato alle fondamenta dell’arte cinematografica. E grazie a Godless, è tornato ancora una volta.

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