Seven to Eternity Vol.1: Il Dio dei Sussurri | Recensione

Pubblicato il 8 Dicembre 2017 alle 17:10

La cosa più difficile che un uomo possa fare è restare nobile quando tutto il mondo lo vede come un codardo.

Zhal è un regno ormai dominato dal Dio dei Sussurri, un tiranno che inesorabilmente ha esteso la sua influenza: basta ascoltare la sua offerta e si diventa suoi schiavi, questo perché il Dio promette di esaurire qualsiasi tipo di desiderio anche i più sordidi o impossibili. Le popolazioni hanno così perso la loro libertà soverchiati dal sospetto e dalla paura.

Lontano dalla civiltà vive Adam Osidis con la sua famiglia, molti anni prima suo padre Zebadiah aveva rifiutato di ascoltare il Dio dei Sussurri anzi l’aveva ribattezzato Re di Fango e questo aveva portato alla progressiva ostracizzazione della famiglia Osidis da tutte le città. Ma la famiglia Osidis fa anche parte dell’ordine dei Mosak: individui dotati di straordinarie capacità che manteneva ordine e armonia a Zhal almeno fino all’arrivo del Dio che li aveva spazzati via.

Il Re di Fango non ha mai accettato quel rifiuto e quando avverte che Adam è gravemente malato lo convoca a palazzo… ha una offerta da fargli. Ma il colloquio non andrà come immaginato perché gli ultimi Mosak irromperanno a palazzo. La loro missione: rapire il Re, portarlo dalla maga Torgga e spezzare la sua influenza su Zhal.

Dopo aver esplorato il lungo ed in largo territori prettamente sci-fi, Rick Remender vira su territori leggermente fantasy per una storia molto sofferta e carica di gravitas in cui è impossibile non notare l’influenza autobiografica dell’autore, elemento quasi sempre presente nelle sue serie basti vedere la seminale Fear Agent o la più recente Low.

Il perno su cui ruota la vicenda di questo primo volume di Seven to Eternity è senz’altro lo stoicismo della famiglia Osidis nel resistere alle lusinghe del Dio dei Sussurri: restare fedeli alle proprie idee, ai propri principi anche se questo porta con sé indicibili sofferenze.

Più volte il protagonista Adam Osidis si domanda se questa scelta non solo è stata la migliore, alla luce della guerra che avrebbe dilaniato Zhal, ma soprattutto alla luce dei sacrifici che il padre Zebadiah ha imposto alla famiglia. Ed è qui che prepotente si insinua una riflessione universale, e che si ricollega alla componente autobiografica, cioè se ogni uomo deve perpetrare ad oltranza le proprie convinzioni oppure deve mitigarle, se non addirittura abbandonarle, quando sopraggiungono condizioni particolari come ad esempio quando bisogna provvedere ad una famiglia.

Altrettanto interessante è la figura del villain, il Re di Fango, non solo per il twist che spacca di fatto a metà il volume dando subito una inaspettata svolta alla serie, ma soprattutto perché riesce ad incarnare un tema tremendamente attuale. Un villain che fa della sua arma principale la parola ed il sospetto è forse il più temibile visto negli ultimi anni in una serie a fumetti: quando infatti si inizia a scavare sul suo passato tocchiamo con mano il suo devastante operato che incrina convivenze pacifiche, rispetto reciproco, genuina curiosità.

L’autore quindi costruisce in maniera efficace i due poli opposti di un universo in cui trovano spazio tutta una serie di personaggi che sono sfumature dell’amara declinazione che è il mondo di Zhal, un mondo un tempo pacifico e rigoglioso ma ora indurito dalla lotta per la sopravvivenza e dal cinismo dei suoi abitanti anche di coloro che, almeno sulla carta, dovrebbero essere eroi.

Remender sembra anche costruire i due protagonisti – Adam e il Re – come eroi di una tragedia greca la cui vicenda è uno sfondo in cui è palpabile l’incombenza della minaccia e la sua serietà – come le grandi saghe fantasy e sci-fi insegnano. Ma lo scrittore è anche un formidabile costruttore di mondi ed ecco che Zhal viene tratteggiata in maniera magistrale, subito credibile ma senza rivelarne troppi particolari; ed è davvero questo l’aspetto che fornisce alla serie la proverbiale marcia in più perché alimenta quella curiosità e quella voglia di scoperta nel lettore che la stragrande maggioranza delle serie moderne ha irrimediabilmente perso. Ne sono un esempio i misteriosi Mosak: chi sono? come funzionano i loro poteri? perché si manifestano in maniera diversa?

Ad illustrare questa tragedia – nel senso più greco del termine – c’è il disegnatore filippino Jerome Opena, che aveva già collaborato con Remender sia su Fear Agent che su svariate serie Marvel, con tratto certosino e straordinariamente pulito. La perizia anatomica è poi asservita ad una costruzione della tavola solida e sempre chiara. Opena allora gioca nel mettere in evidenza particolari che forniscono profondità ai momenti più discorsivi e posati della storia per poi esplodere nelle scene d’azione mai esagerate ma comunque dal forte impatto. Da sottolineare anche l’estetica raffinatissima con cui il disegnatore decide di dare vita a Zhal fra muscolari suggestioni americane e oniriche visioni francesi con Moebius in testa su tutti.

La maiuscola prova di Opena viene poi impreziosita dal lavoro al colore di Matt Hollingsworth che con una paletta dai toni crepuscolari affresca un mondo stretto nella morsa della disperazione ed in cui i brillanti colori dei poteri Mosak sembrano davvero l’unica luce in un mondo perennemente avvolto in una cappa scura.

Seven to Eternity è presentata nel consueto formato 100% HD, ovvero un cartonato soft touch, che impreziosisce l’edizione italiana della serie. L’apparato redazionale è molto snello ma c’è spazio per le immancabili variant cover oltre che per interessantissimi sketch del disegnatore Jerome Opena. Buona la resa di stampa per tutto il volume, buona anche la traduzione mentre discreto è l’adattamento, da segnalare qualche refuso in fase di lettering.

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