Una Vita Cinese Volume 3 | Recensione
Pubblicato il 29 Novembre 2017 alle 17:00
Si conclude la straordinaria trilogia di Li Kunwu, Una Vita Cinese! In questo terzo volume l’autore ci porta nella Cina contemporanea, descrivendone la complessità con un talento espressivo e grafico eccezionale! Non perdete una delle opere più importanti del fumetto internazionale!
Avevo recensito il primo volume di Une Vie Chinoise di Lin Kunwu, uno dei più importanti illustratori cinesi contemporanei, con molta difficoltà, dal momento che l’opera offriva e offre tuttora innumerevoli spunti di riflessione e ha la profondità e la complessità di un romanzo. Partendo, infatti, da vicende autobiografiche, Kunwu, coadiuvato ai testi dal francese P. Otié, propone un racconto sia personale sia collettivo. La storia dell’autore va di pari passo con quella della Cina e si concentra, perlomeno all’inizio, sulla dura realtà della dittatura maoista.
In questo terzo e conclusivo volume le cose però cambiano. Gli eventi descritti sono sempre complessi e articolati ma l’elemento collettivo è più importante di quello personale. Ci troviamo nel contesto della Cina attuale, una potenza economica che, secondo molti, dominerà i mercati nei prossimi decenni. Una Cina quindi lontanissima da quella maoista che caratterizzò l’infanzia e la giovinezza dell’autore.
Mao è ormai un lontano ricordo (e non per tutti piacevole) e il paese, pur rimanendo formalmente socialista, si apre al mercato e al capitalismo. In pratica, si verifica qualcosa che all’epoca di Mao sarebbe stata considerata impensabile e che sconvolge molti cinesi. Kunwu descrive abilmente la contrapposizione tra i nostalgici legati al passato e i nuovi, rampanti cinesi che invece vogliono arricchirsi. L’autore presenta questa tendenza come una naturale reazione alla miseria che in precedenza, al di là della trionfalistica propaganda ufficiale, tormentava tantissimi cittadini.
Il capitalismo dunque si insinua in ogni ambito della società cinese, rappresentato dagli elettrodomestici, i televisori, gli impianti stereofonici, i ristoranti di stile occidentale che iniziano a spuntare dappertutto, i capi di abbigliamento non tradizionale e così via. La parola d’ordine è una sola: arricchirsi. Il successo è l’obiettivo dei cinesi, ansiosi di migliorarsi. Questo punto viene ben chiarito da Kunwu. Il guadagno non è considerato fine a se stesso ma è un modo di affrancarsi da un destino opprimente. Di conseguenza, il figlio di un contadino che in epoca maoista avrebbe senz’altro avuto la stessa vita del padre, può potenzialmente diventare imprenditore, grazie al suo spirito di iniziativa. La ragazza che in passato poteva pensare a una vita fatta solo di famiglia e figli può decidere di intraprendere una carriera.
Cambiano pure i costumi e la sessualità è più libera. Una donna può avere un amante senza sposarsi e un uomo non è detto che debba per forza fossilizzarsi nel ruolo di marito. Di tutte queste trasformazioni sociali, economiche e soprattutto psicologiche, Kunwu è il testimone e, tramite il disegno e l’illustrazione, rappresenta un paese in perenne metamorfosi, travolto da un ritmo di vita frenetico, diverso da quello più rilassato dell’esistenza contadina tanto cara al maoismo. E’ evidente nella story-line che ha una scansione narrativa più veloce rispetto a quella dei volumi precedenti.
Kunwu non giudica e si limita a raffigurare, con sguardo freddo e obiettivo da entomologo, il mutamento della Cina. Nel complesso, prevale l’amore nei confronti del suo paese e si intuisce che preferisce di gran lunga la situazione odierna a quella dell’infanzia. D’altronde, l’ascesa economica della Cina non è dovuta alle sopraffazioni, allo sfruttamento o alle guerre, ma al duro lavoro di un popolo che intende liberarsi una volta per tutte dalla miseria. Il cittadino cinese, in pratica, perlomeno nella raffigurazione fatta dall’autore, non è un volgare arricchito ma una persona che si è riscattata.
Non mancano, tuttavia, elementi negativi che Kunwu certo non ignora: un esasperato materialismo, uno sconcertante individualismo e a volte l’arroganza di alcuni cinesi che credono, grazie al denaro, di poter fare qualsiasi cosa. E Kunwu non si esime dall’affrontare, sebbene in maniera indiretta, il dramma di Piazza Tienanmen che sconvolse l’opinione pubblica mondiale ma che tuttavia gli offre l’occasione di esprimere opinioni non in linea con il pensiero dominante.
In alcune parti del volume gioca un ruolo importante P. Otié, presenza a suo modo determinante. E’ lui, infatti, a stimolare Kunwu, esortandolo a realizzare le sue illustrazioni. E lo stesso vale per il fumetto, la forma espressiva che ammalia Kunwu e lo spinge a diventare un penciler di fama internazione. Da questo punto di vista, le tavole ambientate al Festival di Angouléme sono significative e suggestive.
Se i testi sono di qualità sopraffina, la parte grafica è pregevole. Nei volumi precedenti Kunwu aveva svolto un lavoro eccezionale ma questa terza parte è persino migliore. Anche in questo caso, le influenze dell’arte illustrativa orientale sono evidenti e il tratto è impreziosito da una grazia, una poesia e un’eleganza indiscutibili; le figure umane hanno un’impostazione contorta e grottesca senza però scadere in eccessi cartoon.
Ciò che più colpisce è la cura maniacale dei dettagli ed è sufficiente osservare la rappresentazione del paesaggio urbano delle grandi città, degli interni delle abitazioni e delle strade affollate per intuirlo. Questi elementi hanno un aspetto realistico che contrasta piacevolmente con l’allure quasi impressionista e innaturale degli esseri umani.
Il risultato è spiazzante ma ben si adatta allo sconcerto che un paese complesso e inclassificabile come la Cina di oggi, divisa tra tradizione e modernità, può provocare nell’animo di un occidentale. Non era facile descrivere questa realtà nella sua autentica essenza ma Li Kunwu ci è riuscito. Per questa ragione, non si può non elogiare un esito creativo di tale livello. Une Vie Chinoise è un capolavoro. Da leggere.