X-Men Oro 1 | Recensione

Pubblicato il 25 Novembre 2017 alle 17:00

Siete pronti per la nuova squadra mutante guidata da Kitty Pryde? Allora non perdete il primo numero di X-Men Oro, la testata di Marc Guggenheim che riporta gli Uomini X alle drammatiche atmosfere anni ottanta!

Quando negli anni ottanta Chris Claremont rese la testata degli X-Men la più importante non solo della Marvel ma dell’intero mercato fumettistico americano, insisté su atmosfere narrative tragiche e drammatiche, al punto che il suo stile fu definito ‘morte e disperazione’. Con il pretesto dell’isteria anti-mutante, lo scrittore denunciò il razzismo presente nella società statunitense e in generale occidentale, firmando al contempo episodi memorabili ormai passati alla storia dei comics.

Della lezione di Claremont ha certamente tenuto conto Marc Guggenheim, autore di X-Men Gold, comic-book che si inserisce nel nuovo corso editoriale mutante varato dalla Casa delle Idee. La testata si concentra su una squadra composta da alcuni degli X-personaggi più amati di sempre: Colosso, Nightcrawler, Tempesta, il Logan proveniente da un futuro distopico, Rachel Summers che ora agisce con il nome Prestige e infine Kitty Pryde nell’insolito ruolo di leader. Ci sono poi altri character che occasionalmente collaborano con il team.

Secondo l’ottica di Guggenheim, la razza mutante rischia ancora l’estinzione e deve affrontare la discriminazione degli homo sapiens, in questo caso fomentata da una donna a capo di un’associazione che sfrutta la sua popolarità televisiva per additare gli individui dotati di un gene x. Secondo la donna, un mutante è un pericolo e la presenza di una nuova formazione della Confraternita dei Mutanti Malvagi, responsabile di numerosi crimini, di certo non aiuta.

Kitty, quindi, deve affrontare la situazione, cercando di fermare i criminali e nello stesso tempo di rimanere fedele al sogno di integrazione di Charles Xavier. Anche per questa ragione ora gli X-Men hanno un quartier generale a Central Park, alla luce del sole, e non più in un luogo nascosto. Kitty vuole instaurare un rapporto di fiducia con gli homo sapiens ma le cose, come è facile prevedere, non saranno affatto semplici.

Le premesse di X-Men Gold sono interessanti ma, almeno in questi primi due episodi, Guggenheim non riesce a coinvolgere e si limita a riproporre situazioni alla Claremont ormai superate. La serie è troppo anni ottanta e si basa su cliché francamente risaputi. Nemmeno l’analisi psicologica dei personaggi è impeccabile e Kitty, in particolare, ha la personalità di un frigorifero. L’autore la descrive come una ragazza tosta, sempre cupa e imbronciata, quasi una versione femminile di Logan, lontanissima dalla persona solare di un tempo. E’ vero che gli anni sono passati e i drammi da lei subiti l’hanno fatta maturare, ma la Kitty versione Guggenheim non è convincente.

Nemmeno l’aspetto grafico di X-Men Gold è eccelso. Il penciler è infatti Ardian Syaf che ha un tratto grezzo e legnoso, poco accattivante. Dimostra molte incertezze a livello anatomico che cerca di nascondere con la costruzione inventiva del lay-out e un dinamismo esasperato, evidente soprattutto nelle sequenze d’azione. L’effetto complessivo, però, non è esaltante.

Più che un nuovo corso, quindi, X-Men Gold sembra un clamoroso ritorno al vecchio, a quella voga ‘morte e disperazione’ di cui scrivevo all’inizio della recensione. La differenza sostanziale, però, è data dal fatto che Marc Guggenheim non è Claremont ma solo una pallida imitazione. In definitiva, questa proposta editoriale è trascurabile.

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