Justice League – Recensione in anteprima

Pubblicato il 15 Novembre 2017 alle 09:02

Il malvagio Steppenwolf attacca la Terra coi suoi Parademoni alla ricerca di tre Scatole Madri, fonti di potere che gli permetteranno di dominare il pianeta. Spronato dal sacrificio di Superman, rimasto ucciso nello scontro con Doomsday, Batman decide di riunire un team di metaumani per respingere l’invasione: Wonder Woman, Principessa delle Amazzoni; Flash, il Velocista Scarlatto; Aquaman, perduto Re di Atlantide, e il tormentato Cyborg. Insieme formeranno la Justice League.

Quel che resta di Justice League. O meglio, quel che resta della visione di Zack Snyder. Ed è ben poco. La produzione aveva promesso un cambio di tono rispetto alle tinte dark dei precedenti episodi del DC Universe cinematografico. Ma Justice League non rappresenta una curva dolce nella gestione del franchise. E’ un testacoda brusco e disastroso che risulta nel peggior film della saga.

Snyder ha dovuto lasciare il film nella fase finale della produzione a causa di un grave lutto famigliare. Gli è subentrato Joss Whedon, che aveva già riunito gli Avengers per i concorrenti Marvel Studios ed è noto per uno stile votato alla commedia, approccio del tutto opposto a quello del collega. Sarà pure vero che è stato Snyder a scegliere Whedon ma non date retta a chi dice che il film non ha subito cambiamenti sostanziali. La post-produzione è stata lunga ed il budget è lievitato ulteriormente. La presenza di Whedon nel film è mastodontica e ingombrante laddove Snyder resta solo un’ombra sbiadita sullo sfondo.

Justice League è un film mutilato, seviziato, ridotto all’essenziale, tagliato con l’accetta e rincollato con lo sputo, ristrutturato sull’impronta del modello Marvel. Le quasi tre ore di durata inizialmente annunciate si sono ridotte a 121 minuti scarsi. Avete presente il costume nero funebre di Superman apparso nelle prime immagini promozionali? Nel film non compare. E la discussa scena del trailer nella quale Bruce Wayne parla con un ologramma di cui si vedono solo le gambe (che sembrano essere quelle di Supergirl)? Tagliata pure quella.

Non ci sono mezze misure. L’Uomo d’Acciaio e Batman v Superman erano appesantiti dalla didascalica metafora mitologica vomitata addosso al pubblico per ribadire che si trattava di film per adulti e che i supereroi vanno presi sul serio. Qui abbiamo Flash che è una barzelletta per tutto il film, Martha Kent che dice a Lois: “Clark diceva sempre che sei assatanata.” Silenzio imbarazzato. “Di notizie. Assatanata di notizie.”; Wonder Woman che usa il suo lazo per fare gli scherzi ad Aquaman e le battutine di Bruce in stile Tony Stark (“Tu che superpotere hai?” “Sono ricco.”) Ovvia farina del sacco di Whedon. E, intendiamoci, la componente comica, ad intervallare le dinamiche action e supereroistiche, è anche gradevole. Ma non si dica che questo è il film che aveva in mente Snyder. Qui si ride e non si fa male nessuno, a parte qualche Parademone che finisce spiaccicato con risultati più divertenti che raccapriccianti.

Ben Affleck lascia il Batman brutale, psicotico e ottuso dell’episodio precedente e si ripresenta gigione ed imbolsito, un incrocio tra George Clooney ed Adam West (e non si capisce per quale motivo l’ipertecnologico Batman non abbia un visore incorporato nella maschera come quello de Il Cavaliere Oscuro e debba continuare ad indossare dei prosaici occhialoni). Non c’è traccia della preannunciata “tensione sessuale” con Wonder Woman che si limita al minimo sindacale. La resurrezione di Superman è trattata per sommi capi, risolta in tre scene, e la cancellazione digitale dei baffi di Henry Cavill gli conferisce un aspetto straniante in molte sequenze, a partire dal prologo.

Cyborg è uno young adult-emo, l’Aquaman tamarro e il Flash burletta con un’armatura insensata per un velocista sono lontanissimi dalle loro controparti fumettistiche, sia nella caratterizzazione estetica che intimista. Entrambi biondi e con gli occhi azzurri nel fumetto, sono qui un indigeno polinesiano e un nerd pallido coi capelli neri. Ma nessuno avrà niente da ridire. Se il cambiamento nel colore della pelle fosse stato più marcato e fossero state apportate modifiche alla loro inclinazione sessuale, allora apriti cielo, i fan si sarebbero appellati alla “fedeltà al materiale originale”.

La struttura del film è quella di The Avengers, per filo e per segno. Il team che si riunisce, le Scatole Madri al posto del Cubo Cosmico, il primo round con il cattivo, l’innocua scazzottata tra supereroi e lo scontro finale nel quale si passa dal destruction porn de L’Uomo d’Acciaio ad un’ambientazione che non vi riveleremo ma nella quale le uniche vite civili in gioco sono quelle di una famigliola di tre persone. Senza mezze misure, appunto.

L’enfasi epica è carente, l’apparato visivo è men che mediocre, le coreografie di combattimento inesistenti. Una delle scene d’azione rimanda alle grandi battaglie della saga de Il Signore degli Anelli ma con effetti digitali degni di una serie tv di Syfy Channel. In tal senso, quella mezza cartuccia di Steppenwolf è l’ennesimo villain in motion-capture della saga che va ad unirsi ai pur monodimensionali Doomsday, Ares ed Incubus. Sul piano qualitativo pare di trovarsi di fronte ad un qualunque episodio di mezzo di Underworld o Resident Evil.

Gli unici picchi emotivi sono conferiti dalla colonna sonora. Con l’abbandono di Snyder, la Warner ha allontanato anche l’innovativo Junkie XL preferendo tornare alle sonorità classiche di Danny Elfman che ha realizzato le musiche per parecchie trasposizioni supereroistiche. E’ un assoluto piacere vedere l’accensione del Bat-segnale sottolineata dal tema musicale del Batman di Tim Burton o Superman che sferra un pugno accompagnato dall’iconico tema di John Williams, ormai intessuto in maniera inestricabile col personaggio. Certo, Elfman si prende pure la licenza di buttare dentro qualche nota da Avengers: Age of Ultron, tanto per ribadire ancora una volta la direzione presa dal film.

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