Cinema Purgatorio Volumi 1-3 | Recensione

Pubblicato il 17 Ottobre 2017 alle 10:00

Perché non fate un salto al Cinema Purgatorio? Di cosa si tratta? Della nuova, inclassificabile proposta editoriale di Alan Moore! Non perdete i primi tre volumi di una collana antologica firmata dal Bardo di Northampton e altri talentuosi maestri dei comics!

Le riviste antologiche hanno giocato un ruolo importante nell’ambito del fumetto internazionale e hanno avuto il merito di far conoscere autori di grande livello che proprio sulle riviste hanno mosso i primi passi. Negli ultimi anni, tuttavia, sono quasi del tutto scomparse, a causa dei mutamenti del mercato. In ambito anglofono esiste ancora 2000AD e la seminale Heavy Metal pare stia vivendo un secondo periodo di giovinezza. Ma nel complesso, non si trova molto.

C’è però un autore che non segue le regole del mercato e si chiama Alan Moore. Il leggendario scrittore di Watchmen, From Hell, V for Vendetta e altri capolavori ha varato proprio una rivista antologica con la casa editrice Avatar. Il nome è tutto un programma, Cinema Purgatorio, e include serial a puntate di svariati autori, quasi tutti caratterizzati da atmosfere horror e perturbanti e rigorosamente in bianco e nero.

E’ un’iniziativa coraggiosa e Panini Comics ha pubblicato tre volumi che includono ben quattro serie tratte dall’antologia in questione. Innanzitutto, c’è quella che dà il titolo ed è scritta proprio dal Bardo di Northampton. Classificarla è difficile.

Le atmosfere sono oniriche e perturbanti e, tramite esse, Moore fa una riflessione amara e disincantata sui rapporti esistenti tra la creatività e le regole del mercato. Ambientata in un cinema spettrale, forse collocato nell’oltretomba, la serie descrive le impressioni di una misteriosa spettatrice che, episodio dopo episodio, assiste ai film proiettati in sala.

Non sono però film qualsiasi. Hanno più che altro una valenza metaforica e consentono ad Alan Moore di affrontare vari generi narrativi (western, comico, cartoon, fantascienza e così via). Ognuna delle pellicole denuncia il marciume del sistema e i testi sono ricchi di riferimenti e citazioni. Questo strano universo psicologico è raffigurato da Kevin O’ Neill che ha già lavorato con Alan in The League of Extraordinary Gentlemen e sfoggia il suo consueto stile volutamente sgradevole e contorto. Nel complesso, l’opera è cervellotica e, benché interessante, compromessa da eccessi intellettualistici.

Il secondo serial è Code Pru ed è forse il migliore dell’antologia. Scritto dall’irriverente Garth Ennis di Preacher, è uno spiazzante mix di horror e poliziesco. Tutto ruota intorno a due agenti di polizia, impegnati a svolgere il loro lavoro in un contesto mutuato da telefilm stile Law & Order. C’è però un particolare: esistono zombi, vampiri, fantasmi, mummie, demoni, insomma tante figure tipiche delle pellicole horror. Costoro combinano un sacco di guai e forniscono a Ennis l’opportunità di concepire trame dissacranti e decisamente non politically correct.

I disegni sono del bravo Raul Caceres che ha un tratto naturalistico e dettagliato e costruisce tavole di grande impatto visivo. Kieron Gillen, invece, firma Modded, ambientato in un futuro apocalittico alla Mad Max popolato da mostruose creature e avventurieri dotati di tute strampalate e armi sofisticate. Lo scrittore opta per situazioni ironiche e sopra le righe, un po’ risapute, ed è assistito dal disegnatore Ignacio Calero, che ha un ottimo senso dello storytelling e uno stile aggressivo.

Max Brooks ci propone A More Perfect Union, situato nel periodo della Guerra di Secessione. E’ però una versione alternativa di quell’evento storico poiché i soldati nordisti combattono contro un esercito di insetti giganti. L’idea è divertente ma la trama è esile e la serie va presa in considerazione più per i disegni eleganti e plastici dell’abile Michael Di Pascale che per la sceneggiatura.
Infine c’è The Vast, ideato da Christos Gage. Anche in questo caso abbiamo a che fare con una terra del futuro piena di mostriciattoli letali per gli esseri umani. E anche qui lo script, pur intrigante, non presenta particolare originalità e l’elemento più valido è l’arte grafica di Gabriel Andrade.

In definitiva, come giudicare questa operazione? Sicuramente è lodevole, ma forse Alan Moore e soci non sono davvero riusciti a trovare nuove strade espressive e si sono limitati a proporre storie non prive di cliché.

 

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