Royal City Volume 1 – Affari di Famiglia di Jeff Lemire | Recensione
Pubblicato il 28 Ottobre 2017 alle 10:00
Ghost of Days Gone by…
Non c’è modo migliore che citare il titolo di uno dei brani degli Alter Bridge, contenuto nell’album ABIII, per entrare nel mood giusto e per permetterci così di parlare di Royal City la nuova serie regolare che Jeff Lemire sta pubblicando per Image Comics e che in Italia viene proposta da Bao Publishing diventata la casa italiana dell’autore canadese.
Quando il patriarca della famiglia Pike, Peter, viene colpito da un infarto la famiglia si stringe intorno a lui e alla moglie Patti. Sono così “costretti” ad incrociare nuovamente le loro strade i 3 figli della coppia – Tara, immobiliarista con un matrimonio a pezzi, Richard, operaio con un problema di alcol e sommerso dai debiti, e Patrick scrittore in crisi che si era trasferito nella “grande città” – e a ritrovarsi a Royal City una piccola cittadina del New Jersey che ha visto tempi migliori dopo che la fabbrica che ne ha determinato per decenni il benessere naviga in acque difficili.
E’ subito palese l’intenzione dell’autore di costruire una storia corale ma altrettanto evidente è il tema principale di questo story-arc: l’incomunicabilità.
Due aspetti che apparentemente non vanno molto d’accordo e infatti la famiglia Pike appare subito come una famiglia di “estranei”, persone che si sono perse di vista o preferiscono non rivolgersi la parola ed in cui ognuno ha un segreto, un non-detto, rancori e frustrazioni.
Tara non ha più molto da dire al marito soprattutto dopo che si è fatta portavoce del progetto per chiudere e riqualificare la fabbrica della città dove lui è capo reparto, Richard è un balordo e solitario che non ha più alcun rapporto con i fratelli e con i genitori se non quando si tratta di chiedere soldi, infine Patrick è una scrittore in fasce discendente che mette in dubbio il suo stesso talento e tutto ciò che è stata la sua vita compreso un matrimonio con una stella del cinema più volte infedele.
Ognuno quindi sviluppa una propria linea narrativa autonoma il cui unico elemento in comune è il quarto fratello Tommy: ciascuno lo “vede” a un’età diversa e sotto una prospettiva diversa ora presenza ingombrante ora fonte di sicurezza e amore oppure ancora di sensi di colpa e rimpianti. E poi c’è un anno il 1993, l’anno che secondo Patrick ha “imbrigliato” la sua famiglia – momento che siamo sicuri costituirà il nucleo dei prossimi volumi della serie.
Per quanto l’autore voglia realizzare una storia estremamente realistica tuttavia non rinuncia al quel realismo magico in cui la quotidianità viene “sospesa” in favore di un tono più poetico e “straordinario” un po’ a-là Wes Anderson, se permettete il paragone cinematografico, ma più introverso e malinconico.
Lemire articola così una serie di dinamiche disfunzionali: i 3 figli raramente si incontrano – e quando lo fanno i momenti sono estremamente drammatici – ma il punto focale rimane il capezzale del padre e la figura materna estremamente possessiva, e come scopriremo verso la fine del volume anche ipocrita, che rappresenta una novità nella letteratura dell’autore il quale nei suoi precedenti lavori si era concentrato sulla figura paterna.
Serie come Royal City attualmente sul mercato non ce ne sono anzi probabilmente non ce ne sono mai state questo perché l’autore non solo scava profondamente nel suo subconscio – evidenti sono i richiami autobiografici – ma anche perché dal punto di vista formale qui davvero si cerca di coniugare una narrazione che affonda le sue radici nel grande romanzo generazionale con un ritmo mutuato da una certa serialità televisiva per poi “ordinarlo” nella sicurezza della serialità mensile tipica del fumetto nordamericano.
Una serie che con la sua “semplicità” e per temi trattati, con cui diverse tipologie di lettori possono interfacciarsi, chiede un livello di coinvolgimento e attenzione sicuramente diverso rispetto ai prodotti che abitualmente si trovano sugli scaffali.
Come per Niente da Perdere – la nostra recensione qui – anche per Royal City, Lemire decide di curare la parte grafica ed è anche la prima serie regolare che l’autore canadese decide di disegnare dai tempi dell’ottima Sweet Tooth – serie scritta e disegnata per Vertigo.
Come già evidenziato nella recensione del graphic novel citato poco fa, e a dispetto del tempo trascorso lontano dal tavolo da disegno, Lemire ha affinato la sua arte mostrando una maggiore padronanza della matita con uno stile che rimane immutato e riconoscibile – fortemente impressionista e stilizzato – ma il cui tratto è sicuro tanto da poter focalizzarsi moltissimo sulle espressioni facciali – rese con un gioco di linee a volte nervoso e ossessivo – e sugli occhi particolare che idealmente si sposa con il nucleo narrativo di questo primo story-arc.
E’ sono proprio gli occhi, o meglio gli sguardi, il perno su cui Lemire costruisce la sua tavola mai troppo affollata e con una predilezione per i riquadri orizzontali che si stringono o dilatano seguendo il ritmo dei dialoghi e degli scambi fra i personaggi ma anche del loro flusso di coscienza relegato alle didascalie. Interessante è anche notare come avvicinandoci alla fine del volume aumenteranno le splash page quasi a voler scandire i momenti di svolta per ogni personaggio presentato.
Sempre con la sua peculiare tecnica all’acquerello, Lemire colora le vicende prediligendo una paletta dai toni pallidi e cinerei con grigi, bianchi e rosa che ammantano la città di una pesantezza a metà fra lo smog causato dalla fabbrica e la monotonia della piccola cittadina di provincia.
Anche per Royal City Bao Publishing sceglie il formato cartonato dalla pregevole cura carto-tecnica in cui l’ottima traduzione si sposa con una resa grafica eccellente. Se siete fan dell’autore canadese, o lo sta scoprendo solo ora, sicuramente le edizioni che la casa editrice gli sta riservando sono fra le migliori anche dal punto di vista prettamente economico coniugando un formato di pregio con un prezzo in linea con quelli attuali del mercato italiano.