Il Gioco di Gerald di Mike Flanagan | Recensione Netflix

Pubblicato il 4 Ottobre 2017 alle 20:00

L’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Stephen King è un horror psicologico di rara maestria impreziosito dalle impressionanti performance di Carla Gugino e Bruce Greenwood.

Il mondo della televisione e quello del cinema sembrano muoversi all’ombra di Stephen King: dopo i recenti 22/11/63, Mr. Mercedes, il terribile La Torre Nera e gli imminenti It 1922, è come se lo scrittore del Maine abbia voluto organizzare un banchetto regale al quale tutti noi siamo stati invitati.

In questo senso, Il Gioco di Gerald è quel dolcetto prelibato e inaspettato che il cameriere ti offre alla fine del pasto: breve e dal gusto inconfondibile, il film realizzato da Mike Flanagan è contemporaneamente la piacevole sorpresa di questo inizio d’autunno, una grande scommessa vinta da Netflix (per anni il romanzo originale è stato giudicato come “infilmabile”) e soprattutto uno dei migliori prodotti audiovisivi sfornati dalla letteratura kinghiana.

Per cercare di salvare il proprio matrimonio, Gerald e Jessie programmano un week-end a base di intimità nella casa di campagna. Lei, che vuole accontentare in tutto e per tutto l’amato marito, accetta di farsi legare al letto con delle manette, ma il gioco sessuale si trasforma in tragedia quando lui viene stroncato da un infarto improvviso.

Ammanettata e senza possibilità di chiamare i soccorsi, Jessie dovrà trovare un modo per sopravvivere non solo alle tante avversità dell’orribile situazione in cui è capitata, ma soprattutto a se stessa e ai ricordi travolgenti di una vita passata a sottomettersi agli altri. Le cose si complicheranno ancor di più quando una presenza inquietante e surreale inizierà a far visita alla donna dopo il calare del sole …

Il Gioco di Gerald  è un’ottima opera che si muove costantemente in bilico sul filo sottilissimo che separa i thriller psicologici dagli horror raffinati e cruenti (ci riferiamo alla durissima scena della liberazione, durante la quale Flanagan indulge visivamente sulla sofferenza fisica, che diventa quasi quella del parto che Jessie non ha mai vissuto) e viene elevato ancor di più dal lavoro dei due protagonisti, Bruce Greenwood (Gerald) e Carla Gugino (Jessie).

Soprattutto la seconda dà corpo e anima al proprio personaggio, in un tour de force fisico ed emotivo che spazia continuamente fra rabbia, dolore, rimpianti, imbarazzo, rancore, speranza, follia, panico, autocontrollo, rinascita. La tensione cresce ad ogni fotogramma in un modo che avrebbe inorgoglito Alfred Hitchcock, e il film poi diventa anche intelligentissimo quando associa la corporeità delle manette che costringono Jessie a quel letto con i traumi freudiani che riaffiorano nella sua mente (ai quali il pubblico assiste grazie a delle splendide sequenze di flashback), tanto gravi e pericolosi quanto il cane randagio che si aggira per la casa o i mostri annidati sotto il letto.

La fotografia del dop Michael Fimognari aumenta il senso di claustrofobia partorito dalla visione di Flanagan: la protagonista è intrappolata in quella camera da letto come lo è in ogni singola inquadratura del film, sia che abbia le catene ai polsi sia che abbia ancora dodici anni e sieda innocentemente sulle gambe di suo padre; nelle sequenze oniriche, invece, la palette cromatica di Fimognari abbandona drasticamente il pallore crepuscolare e si lancia in un rosso surreale ed eclissante.

Complimenti a Mike Flanagan per aver filmato l’infilmabile e complimenti a Netflix per aver creduto in questa enorme sfida.

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