madre! di Darren Aronofsky | Recensione
Pubblicato il 3 Ottobre 2017 alle 20:00
Dopo aver sconvolto il Festival di Venezia e il mondo intero, esce nelle sale italiane madre!, la nuova opera del controverso regista di π – Il teorema del delirio e Requiem for a Dream.
A tre anni dal sofisticato dark fantasy Noah, Darren Aronofsky torna con la sua pellicola più estrema, controversa e maestosa. La metafora alla base del film è talmente evocativa e potente da risultare misteriosa, e così sfaccettata e suggestiva da essere totalizzante: quello che Aronofsky ci aveva fatto vedere in The Fountain – L’Albero della Vita non è niente in confronto a quello che ci mostra in madre!.
Jennifer Lawrence e Javier Bardem sono una coppia apparentemente felice che vive isolata in una casa di campagna, lontano da tutti e da tutto. Lui è un famoso poeta tormentato dal blocco dello scrittore che spera di trovare l’ispirazione, lei è una donna innamorata che vuole conservare la vita insieme al marito, una donna che vuole ordine, che vuole serenità, che vuole solitudine e pace.
Una sera la quotidianità della coppia viene interrotta dall’arrivo di Ed Harris, un chirurgo in cerca di un posto per pernottare che ha scambiato la grande casa della coppia per un bed and breakfast. Bardem, incuriosito dall’uomo, lo invita a fermarsi fino al mattino successivo: a questo punto il vaso di Pandora viene scoperchiato, il caos entra nell’eden, e le cose precipiteranno tanto lentamente quanto inevitabilmente.
Muovendosi costantemente nel territorio dell’onirico e del visionario, madre! parla di ogni cosa senza parlare di nulla: mentre la storia procede senza sosta, fuori dal tempo e incastonata in uno spazio tangibile ma surreale (la casa/grotta/utero materno è l’unica location della storia, come se il mondo fosse costituito solo dalle sue pareti di legno, estendendosi al massimo al giardino che le circonda) Aronofsky imbastisce un’allegoria dopo l’altra e ci parla di rapporti di coppia, di cuori infranti, di finali e di morti, di rinascite e di vite che ripartono dalla cenere dopo ogni fine (la fine di un’esistenza, ma anche la fine di una storia d’amore, o la fine di un progetto di vita); ci parla di ispirazione, di arte, di poesia, della fama, dei sacrifici che la fama pretende, di amore e di odio, di distruzione e di conservazione, di apertura verso il prossimo e di chiusura, di immigrazione, di razzismo, di intimità contro espansività, di unione contro divisione.
Soprattutto madre! è un film religioso (tantissime le immagini che Aronofsky prende dalla Bibbia, dalle rane ai fratricidi, dai doni per la nascita del messia alla morte del messia stesso, ucciso dagli spasmi di una società troppo caotica per prendersi cura di se stessa) ed ecologico (se la casa è allegoria del mondo, guardate come gli uomini riescono a ridurla), in cui Aronofsky ha voluto inserire tutti i suoi demoni (“Non è mai abbastanza, devo continuare a provare” ci dirà il regista attraverso il personaggio di Bardem).
E ce ne sono talmente tanti di demoni, in questo film caotico, fastidioso, egocentrico e geniale, che chiunque di noi potrà trovarci i propri.