American Horror Story Cult – 7×03 “Neighbors from Hell” | Recensione

Pubblicato il 23 Settembre 2017 alle 15:00

Abby è sempre più fuori controllo e appare sempre più chiaro (agli spettatori) che vi è una setta che sta chiudendo il cerchio su di lei.

La situazione degenera velocemente in questa settima stagione di American Horror Story: Cult, che sempre più ricorda le dinamiche e le atmosfere del ciclo inaugurale. Dopo l’uccisione di Pedro, pur se per legittima difesa, Ally (Sarah Paulson) mette in dubbio la propria sanità mentale e viene accusata di razzismo da un corteo di manifestanti, fuori dal ristorante di lei e Ivy (Alison Pill). Gli stessi verranno in seguito “allontanati” da Kai (Evan Peters), che sembra sempre più tenere le fila di tutta la storia, dall’alto della sua follia trumpiana. Infatti si presenta come un principe azzurro (ha anche i capelli blu) arrivato in soccorso della damigella in difficoltà: quanto di più palesemente falso, e quanto di più propagandistico per la sua elezione al consiglio comunale.

Appare chiaro – ma solamente agli spettatori – infatti che i vicini di casa della coppia, i Wilton, conoscono il commissario di polizia (Colton Haynes), forse il nuovo “amichetto” di Harrison (Billy Eichner) di cui è gelosa Meadow (Leslie Grossman) – e che anche il terapista (Cheyenne Jackson) di Ally è coinvolto nella faccenda.

Una sorta di versione thriller di Desperate Housewives (che già aveva un elemento mystery molto forte), questa puntata è tutta concentrata sull’orrore che si annida nei sobborghi americani dove vivono Ally e Ivy. Un grottesco già dipinto molte volte al cinema e in tv, ma mai in questo clima di ossessione politica. I Wilton la ritengono razzista e responsabile della morte di Pedro, mentre un serial killer si aggira per il quartiere lasciando un’inquietante faccetta sorridente disegnata su un muro delle case.

L’episodio infatti inizia con una sequenza tipica della cinematografia horror e allo stesso tempo fedele agli incipit delle prime stagioni, che mostra il misterioso gruppo di clown assassini lasciare a morire una coppia di sposi dopo averli chiusi in due bare urlanti. La coppia era appena rientrata dall’ultima seduta col terapista (lo stesso di Ally) dopo che la moglie aveva finalmente superato la propria fobia di essere sepolta viva (guarda un po’).

Il “marchio” passa prima da casa di Ivy e Ally, dove viene brutalmente ucciso al microonde il porcellino d’india che i Wilton avevano regalato a Ozzie (Cooper Dodson). Ally ritiene responsabili proprio i nuovi vicini dell’intrusione in casa propria, così come a fine episodio Harrison riterrà colpevole la donna della misteriosa sparizione di Meadow. Un tira e molla fra vicini di casa al limite dell’esasperato e per certi versi del melò (ma sempre dalle tinte horror) che vuole far emergere tutta la diffidenza verso il nuovo, lo straniero, a rappresentanza del concetto alla base di questa stagione, ovvero quanto la presidenza Trump abbia reso ancor più sospettosi e intolleranti gli americani verso il prossimo.

Winter (Billie Lourd) sembra aver ereditato il ruolo che fu di Frances Conroy e Alexandra Breckenridge in Murder House: lì una domestica, qui una babysitter silenziosa e pericolosa, che si insinua nella vita e nella coppia protagonista, lì per una maledizione che verteva sull’abitazione, qui per un diabolico piano del fratello e della setta che comanda – o almeno così sembrerebbe.

Un cult di cui non si capiscono ancora le motivazioni e gli obiettivi, ma di cui non vediamo l’ora di scoprire di più. Anche a costo di dover affrontare le nostre peggiori fobie.

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