Outcast Volumi 1 & 2 | Recensione
Pubblicato il 24 Settembre 2017 alle 10:00
Robert Kirkman presenta attraverso l’horror ed in una storia di genere il dramma e l’orrore della provincia americana.
Mentre scrivo si stanno celebrando i 70 anni di vita di Stephen King. Uno dei meriti del “Re” dell’orrore è stato quello di inserire nella letteratura di genere, ed in quella orrorifica in particolare, la centralità del contesto quotidiano. Grazie a Stephen King l’horror nella letteratura non è stato più rappresentato come una dimensione fuori dal reale, prodotta da qualche suggestione tardo-gotica. King ha messo al centro delle sue storie la provincia americana, dove il vero orrore vive e abita: proprio lì, nel cuore degli Stati Uniti.
Robert Kirkman forse potrebbe essere una sorta di equivalente kinghiano per il mondo dei fumetti. Certo, l’autore Image svaria un po’ su tutti i generi (e questa è un’altra delle sue abilità). Recentemente abbiamo recensito il suo Lo Stupefacente Wolf-Man , che mescola un gusto tradizionale per l’horror con il supereroistico da fumetto anni ’50, quello che tendeva a suscitare nei più piccoli il cosiddetto “sense of wonder”.
Ma il Kirkman che troviamo in Outcast è quello più somigliante a The Walking Dead. Outcast esce nelle edicole italiane da quasi due anni in formato bonelli in bianco e nero, ma nei volumi di SaldaPress che raccolgono le storie dedicate alla serie troviamo anche i fondamentali colori di Elizabeth Breitweiser: espressionisti e molto importanti per dettare l’umore della narrazione.
Il protagonista della storia è Kyle Barnes, il reietto, un uomo che si è dovuto allontanare dalla propria famiglia e che è a caccia di risposte. Il reverendo Anderson, prete della cittadina del West Virginia nella quale Kyle vive, lo aiuterà a trovarle, conducendolo con sé in sedute di esorcismi nelle quali il nostro protagonista diverrà fondamentale.
Kyle infatti nota di avere una sorta di potere nei confronti degli esorcizzati, i quali dal canto loro continuano a soprannominarlo “il reietto”. E la storia di Kyle Barnes è da reietto in tutti i sensi. Odiato e disprezzato dalla madre (anch’ella posseduta), scacciato di casa dalla moglie a causa di un misterioso raptus di violenza che lo ha colto durante una nottata, Kyle trova rifugio e ospitalità dalla sorella Megan. Ma ciò che sta covando in quella cittadina del West Virginia e attorno al nostro protagonista è una sorta di apocalisse che sta partendo proprio da lì, dal cuore degli Stati Uniti.
Outcast è questo: una grande narrazione dei demoni della provincia americana. I demoni soprannaturali in questo caso vengono usati anche come metafora per mostrare i travagli di tante vite ordinarie, condizionate dai loro piccoli drammi e profondi dolori che a volte faticano a rimarginarsi.
Kirkman aveva concepito il fumetto sapendo già di volerne trarre una serie televisiva (arrivata alla seconda stagione), i tempi della narrazione perciò si prestano facilmente ad un ritmo cinematico ben supportato da alcune soluzioni visive piuttosto originali. Quella che salta di più all’occhio è l’uso delle vignette in dettaglio, i cosiddetti insert panel, che solitamente nei fumetti vengono centellinati e usati per indicare piccoli particolari visivi di un’azione, ma che in Outcast diventano elementi narrativi centrali.
I disegni di Azaceta hanno un tratto leggermente tondeggiante, ma sono dettagliatissimi, e molto espressivi quando rappresentano i volti dei personaggi. In più, come dicevamo prima, i colori di Elizabeth Breitweiser (che si possono gustare grazie a questa versione in volume pubblicata da SaldaPress) dettano gli umori della narrazione, svariando dalla cupezza, allo straneamento, alla violenza più totale.
Outcast è tutto ciò che desidera un lettore di fumetti amante delle storie marce da provincia americana che spesso Image riesce a regalarci. Perché il cuore pulsante di Outcast non è l’horror ed il soprannaturale (peraltro ampiamente presente), ma così come in The Walking Dead, Robert Kirkman usa il genere per analizzare nel profondo la condizione umana, nella sua quotidianità ed attraverso i drammi vissuti giorno per giorno.
Tutto ciò rende Kirkman un assoluto fuoriclasse del fumetto americano, ed un grande narratore, che oggi ai tempi di Stephen King può essere considerato l’erede di una tradizione letteraria che usa il genere e lo straordinario per raccontare ciò che, se analizzato con la giusta attenzione e sensibilità, può essere ancora più eccezionale: le storie di vita degli esseri umani.