IT – Recensione in anteprima del film tratto dal romanzo di Stephen King
Pubblicato il 17 Ottobre 2017 alle 22:49
Derry, Maine, fine anni ’80. Il Club dei Perdenti, un gruppo di sette ragazzini emarginati e perseguitati dai bulli, deve affrontare un’entità malefica che si sveglia ogni 27 anni ed emerge dalle fogne della cittadina per nutrirsi di bambini. L’entità si materializza nelle forme delle paure inconsce delle sue vittime prediligendo le sembianze dell’infido Pennywise, il Clown Danzante. In un’estate epica e terrificante, i Perdenti dovranno compattarsi contro la forza del male che chiamano It.
La trasposizione cinematografica di It è esattamente quello che non dovrebbe essere: un remake della miniserie tv del 1990. L’adattamento televisivo firmato da Tommy Lee Wallace era riduttivo, superficiale, del tutto privo di splatter, memorabile solo per la performance di Tim Curry nel ruolo di Pennywise che se ne stava di fronte alla macchina da presa ad urlare minacce ai sette Perdenti sfoggiando lenti a contatto colorate e una protesi di affilati denti aguzzi. Tuttavia la miniserie ha assunto lo status di cult come accade spesso ad opere di scarsa qualità che riescono in qualche modo ad arrivare al cuore (e alla pancia) del pubblico.
Il capolavoro letterario di Stephen King, pubblicato nel 1986, non è semplicemente la storia di un mostro che assume le sembianze di un clown assassino. Si tratta di un racconto che contiene tutti gli elementi fondanti della narrativa kinghiana. E’ il grande romanzo americano capace di segnare un’epoca, è racconto di formazione nel quale l’autore riversa tutto se stesso, rievocando con nostalgia l’infanzia nella sua Bangor, cittadina del Maine traslata nell’immaginifica Derry. Una realtà di provincia all’apparenza tranquilla che nasconde sottopelle malesseri ed orrori incarnati da It.
Non a caso, era stato inizialmente scelto a dirigere il film quel Cary Fukunaga che aveva saputo raccontare gli squallidi orrori di una certa quotidianità rurale americana nella prima stagione di True Detective. La sua sceneggiatura era però troppo estrema per la Warner Bros., conteneva sequenze esplicite di stupri, pedofilia e masturbazione, inadatta per un pubblico mainstream. Il testimone è quindi passato al più rassicurante Andy Muschietti, reduce dalla ghost story La Madre, realizzata sotto lo stampo produttivo di Guillermo del Toro.
It va a conformarsi al trend dei blockbuster horror in cui gli effetti jumpscares sono l’unico mezzuccio facile per far saltare il pubblico dalla sedia e non riescono a comunicare disagio o angoscia ad un livello più profondo. Brividi un tanto al chilo che restano in sala e si sdrammatizzano mangiando i pop-corn. Pennywise è lasciato più ai mediocri effetti digitali che all’interpretazione di Bill Skarsgard. E fa abbastanza ridere che l’attore svedese rilasci interviste nelle quali sostiene di aver approfondito e intellettualizzato il personaggio.
Anzi, Pennywise non compare nemmeno nella scena horror più riuscita del film, l’esplosione di sangue nel bagno di Beverly. Se Bill è il protagonista e il motore emotivo nel romanzo originale, qui è la giovane interpretata da Sophia Lillis il vero cuore dei Sette Perdenti, ancora a cavalcare l’onda del girl power imperante. E’ comunque facilissimo affezionarsi ai protagonisti, un gruppo di giovanissimi attori dal talento ineccepibile.
Nel romanzo, la parte ambientata nel passato si svolge alla fine degli anni ’50 mentre nel film siamo negli anni ’80. Scelta dovuta anzitutto ad una questione logistica, per poter comodamente ambientare il sequel ai giorni nostri, ma anche per sfruttare il fenomeno nostalgia come Stranger Things insegna. Va detto che It non indulge troppo nelle citazioni della cultura popolare dell’epoca.
Anche se Stephen King ha approvato i cambiamenti circa il periodo in cui si svolge la storia, i risultati sono discutibili. Se non racconti gli Stati Uniti anni ’50 e ’60, l’epoca della Guerra Fredda, dell’omicidio di Kennedy, del rock ‘n’ roll, dei racconti del terrore EC Comics e degli horror in bianco e nero, non mi stai raccontando Stephen King. Ed è difficile ritrovare le atmosfere del romanzo nella pur curata ambientazione anni ’80.
Stona la scena dei Perdenti che vanno a farsi il bagno al lago che sembra più adatta ad un film neorealista del dopoguerra. La bici di Bill si chiama Silver in omaggio al Lone Ranger, personaggio che i ragazzini degli anni ’80 conoscevano a malapena. Il pretesto con cui il nome viene qui mantenuto spersonalizza totalmente l’elemento iconico.
Se Il Miglio Verde, altro racconto di King, riempie più di tre ore di film e Il Signore degli Anelli è stato suddiviso in tre film della stessa durata (quattro ore se si considera l’edizione estesa de Il Ritorno del Re), anche It avrebbe avuto bisogno di un adattamento di maggior respiro e con tempi più dilatati. Accadono troppe cose troppo in fretta. Ne giova il ritmo, la pellicola non annoia, ma non c’è tempo per per assimilare i fatti, soprattutto nella seconda parte. L’epica battaglia coi sassi contro il bullo Henry Bowers e i suoi compagni è uno dei momenti culminanti del romanzo. Qui viene inserita dopo appena un’ora e non ha l’afflato necessario. Il rapporto di Henry e Beverly con i rispettivi padri viene risolto in due scene. L’edizione estesa non migliorerà la situazione, anzi, aggiungerà ulteriore carne al fuoco.
Il romanzo viene tradito soprattutto sul piano simbolico e metaforico. Nell’opera originale, Bill e i Perdenti affrontano le loro paure appellandosi all’entità benefica della Tartaruga e si scontrano con It sul piano metafisico grazie al Rito di Chud. Nel film, la battaglia finale avviene a bastonate e con una prosaica pistola da macellazione.
Una tirata d’orecchie all’adattamento italiano. Il film esce nel nostro paese con più di un mese di ritardo rispetto all’uscita statunitense, la voce di Pennywise è del tutto inappropriata e i ragazzini sono doppiati da adulti. L’iconica pull quote promozionale “Anche voi galleggerete” è stata rimpiazzata dalla più banale “Di cosa hai paura?”
Si tratta in definitiva di un buon prodotto d’intrattenimento, di un horror mediocre e di una pessima trasposizione. E’ un film che scivola via come una barchetta di carta in un rivolo di pioggia ma poi finisce nell’oblio della fogna. Ad ogni modo, il pubblico generalista andrà in sala per vedere Pennywise che fa ‘BU!’ ed è esattamente quello che avrà, né più né meno. Avete pagato il biglietto? Allora fate entrare il clown.