Sacred Heart di Liz Suburbia | Recensione

Pubblicato il 14 Settembre 2017 alle 10:00

Adolescenza senza filtri nella provincia americana.

Eris Edizioni porta in Italia il primo lavoro di Liz Suburbia ovvero Sacred Heart versione rivisitata e “corretta” del omonimo web comic uscito proprio sul sito dell’autrice web.

Ad Alexandria non ci sono adulti. Se ne sono andati e non sono ancora tornati. Così Ben, sua sorella Empathy e i loro amici si trascinano giorno dopo giorno in una routine fatta di scuola, pomeriggi sul divano e notti infuocate dai concerti della punk band locale. L’unico macabro “diversivo” sono gli omicidi che si susseguono e a cui nessuno pare voler dare una risoluzione.

Mescolando influenze da fanzine, fumetto indipendente anni ’90 – l’influenza di Love and Rockets è evidente ma non soverchiante – e sensibilità post-moderna Liz Suburbia confeziona un graphic novel che partendo dai classici stilemi del teen drama si evolve in una riflessione acuta sull’adolescenza.

La provincia americana, spersonalizzante e volutamente “generica”, è lo sfondo in cui la vita della protagonista Ben si interseca con quella di un microcosmo di personaggi che l’autrice fa crescere nel corso del libro in maniera organica fra stereotipi e rovesciamento dei ruoli.

E’ l’alienazione che l’adolescenza porta con sé il tema principale di Sacred Heart, quella alienazione che è dubbio esistenziale in un turbine di emozioni e confusione che coinvolge soprattutto sessualità e moralità.

Suburbia vuole trattare questi temi in maniera diretta ecco quindi che la prosa si fa asciutta, senza fronzoli, con uno slang ed un ritmo che sono un “anti-flusso di coscienza”: tutti ad Alexandria sono fragili a modo loro e hanno difficoltà ad esprimere questo “disagio”.

Dove finisce il sesso, fatto per ingannare la noia forse, ed inizia l’amore? sembrano pensare in diversi momenti Ben e Otto… Perché due amiche si vendono come chiromanti? Perché è così importante prevedere il futuro? Perché la “cicciona” Jenna alla fine mette a rischio la sua vita pur di recuperare la chitarra, simbolo di quella musica che l’aveva finalmente resa “tosta”?

Il finale è biblico, ed ovviamente alienante come tutto il libro, con i personaggi che cercano rifugio o di aggrapparsi a quello che seppur fugacemente li aveva fatti sentire “vivi”: amore, arte, fede.

Nel finale poi c’è anche l’inattesa risoluzione dei misteriosi omicidi i quali sono figli proprio dei traumi irrisolti dei personaggi che popolano la piccola cittadina e dell’impossibilità di affrontarli in maniera razionale.

Abbandonando qualsiasi tipo di velleità realistiche l’autrice adotta uno stile cartoonesco che si rifà da un lato alla tradizione umoristica e caricaturale e e dall’altro ad una certa scuola canadese che ha prodotto fenomeni commerciali come Scott Pilgrim di Bryan Lee O’Malley. La costruzione della tavola è semplice e spesso “circolare” quasi a voler ribadire il carattere compulsivo dei personaggi; il bianco e nero è essenziale e sembra non voler distrarre il lettore dalla fitta rete di personaggi che popolano Alexandria.

Ottima la cura carto-tecnica di questo balenottero brossurato, oltre 300 pagine, che beneficia di un’ottima resa grafica e di una traduzione ed adattamento che riescono a rendere, senza snaturarle, le atmosfere ed i dialoghi “adolescenziali”.

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