Niente da Perdere di Jeff Lemire | Recensione

Pubblicato il 27 Ottobre 2017 alle 17:00

Le delusioni del passato e le incertezze del futuro in un affresco tanto delicato quanto devastante di vite piegate e quasi spezzate.

Derek Ouelette è stato qualcuno, per un breve periodo, tanti anni fa… una promessa dell’hockey. Ma la sua carriera è finita presto ed ora è solo un balordo, ubriacone e sempre pronto a menar. Recluso nella minuscola cittadina natale la sua vita sarà sconvolta dal ritorno di sua sorella Beth in fuga da un fidanzato violento e con un più di un terribile segreto. Derek non senza remore deciderà di aiutarla e per farlo i due dovranno trascorrere un periodo di forzato isolamento in una baita nei boschi canadesi venendo alla resa dei conti con i fantasmi del loro passato e soprattutto del loro futuro.

Sgombriamo subito il campo: Niente da Perdere è un ritorno, quasi una rinascita per Jeff Lemire che, dopo la tutt’altro che esaltante esperienza alla Marvel ed alcuni ottimi lavori per la Image, ritorna a quelle atmosfere e a quella narrazione fra l’onirico ed il neo-realistico che quasi un decennio fa lo portarono all’attenzione del pubblico e della critica.

Quello che l’autore imbastisce è un dolorosissimo percorso esistenziale per i due protagonisti sfiancati da un vita che li ha profondamente delusi, provati e quasi abbattuti… quasi.

E’ questo il perno di una storia a tratti brutale ma anche estremamente compassionevole: Derek e Beth ripercorrono a ritroso gli avvenimenti che li hanno portati ad allontanarsi e poi a ritrovarsi in circostanze comunque drammatiche. Il passato è un luogo dolceamaro fatto di sicurezze come la figura materna per Beth e l’hockey per Derek ma anche di profonde delusioni come quella di un padre violento, di una carriera terminata troppo presto, di una fuga verso la grande città che in realtà si è dimostrata una trappola ancor più soffocante della piccola città.

La maestria dell’autore è tutta nell’intrecciare le vite dei due personaggi principali fra un presente fatto di rimpianti e di impossibilità di uscire dai ruoli imposti ed un passato incombente che li obbliga a confrontarsi con sé stessi prima che con gli altri. Efficace è in tal senso l’immagine ricorrente del camminare cioè l’idea di ripercorrere quelle strade, dolorose e solitarie, della vita.

L’umanità di Lemire resiste e combatte incessantemente per sopravvivere. Ma c’è speranza di redenzione per Derek e Beth?

Sì, ma prima devono essere svuotati delle loro debolezze – la scena finale con un Derek che fa da “esca” è una forte presa di posizione e una consapevole maturazione – per mostrarne l’intrinseca resilienza.

Seppure Beth e Derek vincono la loro battaglia più importante – riappacificarsi definitivamente e scacciare i fantasmi del passato così come l’aridità del presente – quello di Niente da Perdere non è propriamente un lieto fine piuttosto un finale malinconico che culmina con l’isolamento dei due protagonisti – Derek nei boschi, Beth nella riserva di nativi da cui la madre discendeva – in una comunione con la natura che è anch’esso uno dei temi portanti della letteratura di Lemire il quale, non perdendo mai di vista la sua estrazione geografica e culturale, vede in quella stessa comunione la chiave per ritrovare l’armonia interiore che passa da una riscoperta delle origini e in un ritorno alla natura scevro però da qualsiasi retorica post-moderna.

Con Niente da Perdere Lemire ritorna anche a sedersi al tavolo da disegno incombenza che, esclusa qualche prova estemporanea, aveva lasciato ad altri sia durante la sua permanenza alla Marvel che per le sue serie creator-owned di casa Image come Descender e Plutona in Italia sempre pubblicate da Bao Publishing.

L’autore mostra una caparbia maturazione del segno pur mantenendo uno stile riconoscibile e caratteristico. Le figure sono sempre affusolate e dinoccolate ma le linee spigolose e tremolanti di Essex County e Sweet Tooth cedono il passo ad sicurezza che si traduce in un tratto più dettagliato che gioca molto sulle ombre e sulla espressività facciale e in una costruzione della tavola semplice e volutamente cadenzata da riquadri orizzontali e da splash page, singole soprattutto ma anche alcune doppie, che strategicamente rompono la tensione focalizzando l’attenzione del lettore in maniera efficacissima.

Da sottolineare anche le particolarissime scelte cromatiche di Lemire con una bicromia preponderante per tutto il libro salvo alcuni momenti specificatamente colorati. Non è una scelta casuale ovviamente ma una caratteristica che compenetra le tematiche del libro in maniera decisiva. Nel corso della lettura però il termine “bicromia” perderà man mano di significato quando ci accorgeremo che l’autore, prediligendo la sua peculiare tecnica all’acquerello, sfumerà i neri in grigi e verdoni quasi a toccare tonalità del blu e petrolio donando una algida tridimensionalità alla storia di Derek e Beth intervallata da alcuni particolari debitamente colorati per attirare l’attenzione del lettore; il colore prende inoltre il sopravvento nei flashback capovolgendo così l’assunto dei ricordi che “sbiadiscono” nel tempo.

Pregevole il cartonato che Bao Publishing confeziona ricalcando l’edizione originale, impeccabile traduzione e resa grafica che mostrano ancora una volta, qualora se ce ne fosse il bisogno, la grande cura che Bao dedica ai suoi libri e agli autori della sua scuderia.

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