La Fratellanza di Ric Roman Waugh | Recensione
Pubblicato il 6 Settembre 2017 alle 20:00
Nikolaj Coster-Waldau si toglie la scintillante armatura del prode Jaime Lannister de Il Trono di Spade e infila i panni logori di un uomo d’affari costretto a trasformarsi in un pericoloso criminale.
Ne La Fratellanza ci sono tantissimi elementi già visti decine di volte in decine di altri film, ma l’esperto Ric Roman Waugh, regista losangelino classe 1968, riesce a mescolarli in maniera convincente nel confezionare questo crime-noir-drama che scricchiola un po’ ma convince in gran parte.
Jacob Harlon detto Money è finalmente uscito dal carcere. Dieci anni prima era un altro Jacob Harlon, una persona completamente diversa, uno che i money li faceva sul serio e in maniera assolutamente legale (era un ricco uomo d’affari con rosee prospettive per il futuro) e soprattuto padre di famiglia: quel Jacob Harlon, che è stato la causa di un terribile incidente d’auto nel quale ha perso la vita il suo migliore amico, oggi non esiste più, schiacciato dagli orribili crimini e dai tanti patti col diavolo stretti per sopravvivere alla galera.
Lo stile di vita che ha conosciuto dietro le sbarre non ha intenzione di lasciarlo andare, però, e anzi è l’unico stile di vita che gli è rimasto: riunitosi con la sua gang, Money è costretto dal suo capo a compiere un pericoloso crimine, che vede coinvolti membri del cartello della droga messicano e armi di contrabbando.
Ma Jacob forse è ancora lì da qualche parte, sepolto sotto le nefandezze di Money. E forse ha in mente un piano che possa salvaguardare se non lui, almeno gli interessi della sua famiglia.
Si, dalla sinossi lo avrete capito. L’originalità non è il pezzo forte de La Fratellanza. Però il film merita il vostro tempo, e per varie ragioni.
Primo, l’approccio spontaneo ed elegante col quale Waugh si diverte a flirtare coi cliché di un genere ultra-saturo. Il concetto non viene mai esplicitato a parole (e questo è un altro pro), ma per tutto il film si ha una sensazione di inevitabilità, di predestinazione, di destino segnato. Il film non scade mai nella banalità di volersi ergere a slogan di denuncia contro il sistema giudiziario americano (Jacob viene trasformato in un criminale a causa del tempo passato in prigione) ma il pensiero di Waugh è fortissimo e chiarissimo fin dal primo istante.
Secondo, l’interpretazione di Nikolaj Coster-Waldau. Se Jaime Lannister è uno dei miei tre personaggi preferiti del fantasy HBO è anche e soprattutto merito della bravura di questo attore danese, che mi era piaciuto tantissimo in La Madre di Muschietti e ancor di più nel dramma danese Second Chance della Bier (ricordate chi e con quale film lo lanciò nel cinema americano? Un indizio: il signore in questione ha diretto Blade Runner). In La Fratellanza il buon Nikolaj dà anima e corpo, e nel corso dei 120 minuti di film (durata giusta, anche se forse si poteva scendere fra i 100 e i 110) vi affezionerete al suo Jacob e farete il tifo per lui, un po’ come avete fatto per Walter White.
E’ un film duro, quello di Waugh, che non scende a compromessi (se non nel finale, forse un po’ troppo buonista: lo avrei apprezzato di più se la crudezza visiva fosse stata accompagnata da più asprezza emotiva) e che non vuole mai giustificare il comportamento del suo protagonista: Jacob fa quello che fa perché deve farlo, perché è stato messo nelle condizioni di doverlo fare per poter riuscire a sopravvivere.
Il tempismo di uscita nelle sale probabilmente non è dei migliori visti i recenti e tristemente noti fatti di cronaca (soprattutto se consideriamo che Jacob ha tatuato sulla schiena un grosso e quasi sempre visibile WHITE SUPREMACY), che potrebbero fiaccare l’interesse nei confronti del film e di riflesso intaccare gli incassi.
Ma nonostante si comporti molto spesso da carnefice, Jacob è in primo luogo una vittima. Il film non ce lo dice, ma ce lo fa capire. E per questo funziona.