Preacher 2×11: “Backdoors” | Recensione
Pubblicato il 31 Agosto 2017 alle 15:00
“Io sono Adolf-fottuto-Hitler!!”
Nonostante le tantissime proteste e tutto il clamore che l’episodio della settimana scorsa ha suscitato nei cuori e nelle menti dei benpensanti (associazioni di madri e predicatori americani hanno minacciato di querelare AMC per blasfemia, dopo aver visto la scena di sesso fra Gesù e Maria Maddalena) Seth Rogen ed Evan Goldberg fanno orecchie da mercanti (e vorrei pure vedere) e rivelano finalmente la nuova identità che Dio ha scelto per nascondersi sulla Terra … quella di un cane!
E non un cane qualunque, ma l’uomo-cane in costume di latex visto nei primi episodi, col quale si può pagare per avere strampalati rapporti sessuali (qualcuno ha detto Pulp Fiction? Bene, qui si va molto oltre, però).
La rivelazione colpisce Jesse come un’illuminazione alla Sherlock Holmes, e segna il definitivo punto di rottura fra lui, Cassidy e soprattutto Tulip.
Sappiamo bene che una corda finirà sempre ed inevitabilmente con lo spezzarsi se tirata per troppo tempo troppo forte, e in Backdoors, terzultimo appuntamento con la seconda stagione di Preacher, ci viene mostrato cosa succede quando quella corda si spezza.
E’ già da qualche episodio che la decisione di Jesse di trasferirsi a New Orleans per cercare Dio ha iniziato ad assumere forme e contorni di un seme marcio, seme marcio che piantato fra Cassidy e Tulip ha iniziato a deteriorare sempre più velocemente il rapporto dei tre amici alimentando il malcontento dei due personaggi secondari nei confronti del nostro protagonista: se il vampiro, più o meno (più meno che più) interessato alla crociata di Jesse, si è dimostrato quanto meno affabile nell’accontentare l’amico predicatore, non si può dire lo stesso di Tulip, che fra i disturbi post-traumatici dell’incontro col Santo degli Assassini e le tante pulci nell’orecchio lasciatele dalla sua nuova vicina di casa Jenny (che in realtà è un’agente del Graal sotto copertura la cui missione è proprio quella di allontanare Tulip dal compagno) è arrivata al punto di non volerne proprio più sapere né di Dio, né di Jesse.
Il piano di Herr Starr sembrerebbe sul punto di realizzarsi, quindi. C’è un solo problema: Jesse Custer.
La scena del colloquio fra i due avversari, durante la quale Starr fa ascoltare a Jesse tutte le sue preghiere (registrate su nastro dagli addetti alle preghiere in Paradiso: un’idea geniale, se posso permettermi, che riflette sul tema dell’affrontare se stessi e il proprio passato e al tempo stesso amplia la mitologia di Preacher …ma poi, riuscite a immaginare un ufficio pieno di angeli affaccendati a registrare le vostre preghiere?) mette in risalto tutta la caparbietà del predicatore: messo dinanzi agli orrori del proprio passato (ne abbiamo un gustoso assaggio) Jesse non indietreggia neanche di una virgola nel testa a testa col machiavellico leader del Graal, e adesso fra i due la guerra è definitivamente iniziata.
Ma le corde non si spezzano soltanto sulla Terra. All’Inferno, Adolf Hitler è stanco dei soprusi degli altri detenuti e decide finalmente di cacciare fuori gli attributi e ricordare a tutti come e perché si è meritato un posto in quell’orribile prigione demoniaca (nella quale è previsto un test anti-bontà basato sulla proiezione di varie fotografie in bianco e nero, fra le quali ne spicca una che ritrae Tom Brady). Lui e Eugene sono intenzionati a fuggire dall’Inferno, e chissà cosa dovranno affrontare negli ultimi due episodi per riuscire nell’impresa.
Per quanto la sotto-trama dell’Inferno sia completamente avulsa da quella principale (nonostante ne sia comunque una diretta conseguenza) riesce ad essere sempre più divertente di episodio in episodio: il flashback nella Germania pre-nazista, popolata da ebrei, galleristi omosessuali e comunisti ha rappresentato uno dei momenti più spassosi di questa stagione (e che gentile, innocuo e dolce pezzo di pane che era Hitler prima che gli venissero negati i suoi plum cake!)