Il Trono di Spade 7×02: “Stormborn” | Recensione

Pubblicato il 24 Luglio 2017 alle 15:00

“Convoca Jon Snow, altezza.”

Su sceneggiatura dell’ormai rodatissimo Bryan Cogman, collaboratore storico di Benioff e Weiss, Mark Mylod torna nella cabina di regia del fantasy HBO per la terza stagione consecutiva (dalla quinta ha sempre diretto due episodi, e infatti sarà il regista anche della prossima puntata, The Queen’s Justice).

A differenza della premiere della settimana scorsa, più dedita ad atmosfere di ritorni e ri-incontri (com’è giusto che sia per una premiere), Stormborn inizia ad intessere le fitte fila delle varie trame che compongono il vastissimo mondo della serie tv. Mylod mette in scena le situazioni orchestrate da Cogman senza preoccuparsi di lasciare un proprio marchio autoriale, e i 55 minuti dell’episodio volano via fra concili di guerra, pustole purulente ed inediti team-up (ci sarà anche il ritorno di Frittella!!).

Il pregio principale della puntata sta sicuramente nella sottile tensione che, almeno nella prima parte, fuoriesce dalla sceneggiatura di Cogman e arriva direttamente sullo schermo grazie all’anonimo lavoro di Mylod (un buon regista sa quando c’è bisogno di mettersi da parte). Un generale fermento solletica Westeros in lungo e in largo, l’aria è elettrica e ci sono agitazione e nervosismo in ogni angolo del continente. Gli eserciti si muovono, i potenti si radunano nei castelli a studiare tattiche d’assedio. La guerra sta arrivando.

A Roccia del Drago – vessata da un profetica tempesta – Daenerys e i suoi alleati mettono a punto la migliore strategia per sconfiggere definitivamente casa Lannister (la ramanzina della Madre dei Draghi ad un indispettito lord Varys mi è sembrata ridondante e anche un po’ tardiva – lui la serve da due stagioni d’altronde – ma immagino la si possa imputare al nervosismo pre-guerra di cui sopra: i draghi sono suscettibili) mentre ad Approdo del Re i Lannister architettano piani difensivi per resistere agli attacchi dei molteplici nemici (avete colto la citazione a La Desolazione di Smaug? Ancora una volta ci si ricorda che senza il lavoro di Peter Jackson la bella baracca HBO non avrebbe avuto ragion d’essere).

Torna lady Melisandre, sempre pronta a fare il volere del suo Signore della Luce: grazie a lei – e ai consigli di Tyrion – Daenerys deciderà di invitare Jon Snow a corte, aprendo finalmente a possibilità da lungo tempo auspicate dai fan. Dopotutto, immagino che George R.R. Martin non abbia scelto per la sua saga letteraria il titolo Cronache del Ghiaccio e del Fuoco solo per la poesia delle parole (ci sarà una bella battuta sull’importanza dei titoli dei libri in questo episodio).

A Grande Inverno, invece, Jon Snow e ser Davos decidono di accettare l’invito arrivato da Roccia del Drago per due ovvi e altrettanto validi motivi: primo motivo) Daenerys ha tre draghi che potrebbero tornare molto utili nell’imminente guerra contro gli Estranei e secondo motivo) Roccia del Drago si erge sopra il più grande giacimento di vetro di drago registrato dalle cronache.

La passione che Jon Snow sta mettendo nella sua crociata anti-non-morti è davvero ammirevole e sicuramente il perno intorno al quale ruota la trama principale (la serie si chiamerà anche Il Trono di Spade, ma in confronto alla missione di Jon Snow quella per la conquista del trono degli altri personaggi è ridimensionata a futili battibecchi per una sedia di metallo). Nel cercare di portarla a termine il bastardo di casa Stark ha già dimostrato di essere pronto a perdere ogni cosa (l’amore, la casa, perfino la vita) e finora è stato l’unico a trovare forza nell’unità sociale. Ha saputo guardare oltre la razza e il colore degli stendardi, e anche oltre i propri doveri di re (cederà la sua corona a Sansa per poter viaggiare a Roccia del Drago e non dover lasciare i nobili suoi alleati senza un leader).

D’altro canto a Daenerys (che si, sa essere ragionevole, ma brama essere un drago e non una pecora, come ci ricorderà lady Olenna) importa esclusivamente di riconquistare il trono di suo padre, e dubito che la santa guerra di Jon Snow riesca a scavalcare quella per la conquista di Approdo del Re nella lista delle sue priorità. La sottolineatura fatta a lady Melisandre (“che il Re del Nord venga ad inginocchiarsi dinanzi a me”) la dice lunga sulle sue intenzioni.

Di disarmante tenerezza la tanto attesa scena d’amore fra Verme Grigio e Missandei. Mi sarei aspettato più oggettività (o che la scena fosse impostata dal punto di vista di lei), invece il punto di vista sfruttato è quello del timido guerriero e quindi con vergogna il suo sesso evirato è stato risparmiato al pubblico. Scelta un po’ strana e poco coraggiosa, considerato che questo show non si è mai tirato indietro nel mostrare le brutalità di cui è capace l’uomo e la crudezza del mondo creato da Martin (e infatti qualche minuto dopo assistiamo a dettagli di incisioni e pus durante l’operazione clandestina con la quale Sam spera di salvare ser Jorah l’Andalo).

Per concludere, inaspettata la fuga di Theon (ormai ti eri redento!) e stupenda la criptica scena fra Arya e Nymeria. La frase di Arya, il modo in cui la Williams l’ha recitata, fa pensare che la giovane Stark abbia riconosciuto la sua meta-lupa. Una meta-lupa abbandonata da tutti e cresciuta da sola in un mondo ostile, lo stesso destino che è stato riservato alla ragazza. Nonostante la lontananza, però, il legame fra le due piccole lupe era talmente intenso che entrambe sono cresciute in maniera molto simile: selvagge, pericolose e fiere.

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