Dunkirk – Recensione in anteprima

Pubblicato il 30 Agosto 2017 alle 22:57

1940. I nazisti hanno invaso la Francia spingendo migliaia di soldati Alleati sulle coste della città portuale di Dunkirk. Mentre il nemico incalza, 400.000 uomini tentano disperatamente di evacuare via mare coadiuvati dalle navi civili inglesi e protetti dai caccia Spitfire.

E’ sempre mancato mezzo gradino ai film di Christopher Nolan per essere ascritti al pantheon dei capolavori assoluti. Il regista inglese, talentuoso quanto compassato e distaccato, è uno dei cineasti più discussi di questo inizio secolo, si è cimentato con opere ineccepibili e magistrali sotto il profilo tecnico, confezionate con rigore maniacale, ma spesso gravate da concept alla lunga troppo ambiziosi o pretestuosi, impantanati negli eccessi di trama o di sottotesti resi in maniera didascalica. Nolan è il regista che ha traslato l’immaginario fumettistico di Batman in una cornice divenuta oltremodo (iper)realistica nell’arco della trilogia ed ha piegato l’aleatorio mondo onirico di Inception a rigide logiche architettoniche.

Film superbi, intendiamoci, che hanno segnato profondamente le rispettive stagioni cinematografiche e si sono rivelati innovativi e seminali nel bene e nel male, alzando sì il livello delle opere d’intrattenimento sul piano visivo e narrativo ma avviando anche il trend piuttosto fastidioso del realismo a tutti i costi, dei blockbuster seriosi e della tematica sviscerata fino alla sfinimento.

Per la messa in scena dell’evacuazione di Dunkirk, Nolan fa quello che non gli era mai riuscito, giunge ad una sintesi, ad un’immediatezza audiovisiva discendente diretta dei fratelli Lumiere, affidando la narrazione soprattutto alle immagini, all’esercizio cinematografico nel suo stato più puro.

Nolan non voleva nemmeno scrivere una sceneggiatura, poi, su consiglio del produttore, ne ha realizzata una di appena 76 pagine, con i dialoghi ridotti all’osso e i personaggi definiti dalle proprie azioni. In tal senso, Dunkirk è un vero e proprio film di rottura per il regista, i cui personaggi, finora, avevano sempre dovuto spiegare se stessi al pubblico attraverso i dialoghi.

Di conseguenza, Dunkirk è anche il film più breve del regista dopo The Following, la sua opera d’esordio. 106 minuti, una durata che sarebbe perfetta per un dramma in tre atti. Qui i tre atti ci sono e si svolgono in lassi di tempo diversi ma vengono raccontati in maniera parallela, seppur non lineare, fino ad intrecciarsi. Una struttura pazzesca e complicata, molto più di quanto il film appaia superficialmente, e che ricorda i tre livelli narrativi di Inception. La sensazione del tempo che si dilata e si contrae col procedere della narrazione trasmette il senso di claustrofobia della vicenda.

Tre atti che coinvolgono altrettanti scenari. La steadicam conferisce stabilità al movimento sulla terraferma; la camera a mano amplifica il senso di galleggiamento in mare e la camera fissa sullo Spitfire comunica la percezione di costrizione e la soggettiva del pilota, un Tom Hardy che recita ancora una volta indossando una maschera per tutto il film (come già ne Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno e, per buona parte, in Mad Max: Fury Road).

Dunkirk non vuol essere né un documentario né una docu-fiction. La realtà storica si confonde con la rappresentazione romanzata di vicende semplici ma dall’immediata potenza emotiva. A rimarcare come l’epica cinematografica trascenda la realtà, questo è un film che andrebbe visto solo sul grande schermo, meglio ancora in formato IMAX. Nolan effettua un altro passo da gigante sul piano tecnico ottenendo un effetto immersivo totale, senza alcun bisogno di 3D o realtà virtuale. Nelle scene di massa, anche il soldato più lontano non è un puntino sfocato ma una figura ben definita.

La regia alterna inquadrature ravvicinate e intimiste a panoramiche sterminate nelle quali la fotografia di Hoyte Van Hoytema esalta una natura che, a tratti, sembra riflettere il mastodontico dramma umano, mentre in altri momenti pare assolutamente distaccata e indifferente. Nolan sfugge al trend dei piani sequenza tanto virtuosi quanto leziosi e autoreferenziali, non si piega al politicamente corretto hollywoodiano e realizza un film del tutto privo di figure femminili. La storia dei personaggi femminili nel cinema nolaniano meriterebbe un capitolo a parte. Le donne delle sue pellicole sono tutt’altro che stereotipate, figure forti ma spesso lasciate troppo in disparte.

Guardando la filmografia del regista si possono trovare opere di svariato genere: dalla fantascienza all’action arrivando appunto alla guerra. Ma si tratta solo di sovrastruttura. Di base, i film di Nolan sono tutti dei thriller. Per questo motivo Dunkirk è un film bellico senza bagni di sangue. Naturalmente ci sono momenti d’azione ma sempre diretti ad amplificare la componente thrilling. Se l’azione si scatena, la tensione scema lasciando il posto all’adrenalina. Questo a Nolan non interessa. Lui vuole mantenere una tensione costante, che non raggiunga mai un vero e proprio apice. Su questo principio, Hans Zimmer ha realizzato la colonna sonora trasmettendo l’illusione uditiva della scala Shepard, una melodia infinitamente ascendente.

Nel raccontare la storia di un’umanità che sfugge al suo ambiente, Nolan stesso trova una via di fuga da quelle complesse strutture narrative nelle quali si era imprigionato nei film precedenti e dà libero sfogo alla sua arte consegnando alla storia del cinema un capolavoro col quale le generazioni future di cineasti dovranno misurarsi.

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