Edgar e Allan Poe Vol. 1 di Moto Hagio (Ronin Manga): Recensione
Pubblicato il 20 Ottobre 2011 alle 10:00
A quasi quarant’anni dalla prima pubblicazione in patria arriva in Italia il classico dello shojo manga di Moto Hagio, in un’edizione ben curata composta da tre corposi volumi.
Edgar e Allan Poe – Il Clan dei Poe Vol. 1 di 3
Autori: Moto Hagio
Casa editrice: Kappa
Provenienza: Giappone, 1972
Prezzo: € 7,90, 11.5×17.5, b/n, 304 pp
Dopo averci presentato “classici” legati più al fattore nostalgia (Chobin, Don Dracula) che alla valenza storica e alla qualità in sé Ronin Manga presenta un’opera importante di un’autrice che ha fatto la storia dello shojo manga, Moto Hagio, di cui in italiano abbiamo potuto leggere soltanto il volume unico Siamo in 11! (Star Comics).
Come recita il sottotitolo, traduzione dell’originale giapponese Poe no Ichizoku, Edgar e Allan Poe ruota attorno ai Poe, un clan composto da creature della notte in grado di vivere in eterno, di cui la Hagio ci racconta vari frammenti della vita secolare di alcuni suoi membri, in particolare del quattordicenne Edgar, attraverso capitoli di lunghezza variabile che spaziano nel tempo senza seguire un rigoroso ordine cronologico, incentivando così la partecipazione attiva del lettore nel ricostruire la linea temporale degli eventi e a tenerne sempre viva la curiosità.
Conosciamo così in medias res una famiglia del clan, i Portsnell, composta dal Barone Portsnell, sua moglie e i due figli Edgar e Marybell; una famiglia che nasconde un oscuro segreto che costringe i suoi membri a spostarsi di città in città per tutta l’Europa: essi sono vampiri, condannati a non invecchiare mai e mantenere per tutta la vita l’aspetto che avevano al momento dell’entrata nel clan.
Così Edgar resterà per sempre intrappolato nel corpo di un quattordicenne nonostante lo scorrere del tempo, e vedrà introno a sé le persone invecchiare. E proprio per non destare sospetti sulla loro natura che questa immutabilità dei tratti somatici può facilmente alimentare, la famiglia decide di non fermarsi nello stesso luogo per più di un paio di anni: come reagirebbero infatti gli umani se scoprissero la loro vera identità? La risposta nel primo lungo capitolo che apre il volume, all’insegna del dramma e della tragedia, in cui la Hagio inizia a definire la sua personale mitologia vampiresca ben lontana dagli stilemi horror tipici di film e fumetti più in voga.
Le creature fantastiche della Hagio non hanno canini affilati, non si trasformano in pipistrelli, non diventano cenere a contatto con la luce del sole né temono croci e chiese o tantomeno dormono all’interno di bare per svegliarsi in cerca di sangue umano; sono più simili a malinconici antieroi della letteratura romantica, il cui anelito verso l’infinito è realizzato da una vita immortale che ha per prezzo un perenne senso di solitudine come quello che Edgar avverte con triste consapevolezza.
Ed è proprio la solitudine che spinge il ragazzo a fare amicizia con un coetaneo che frequenta il suo stesso collegio, Allan Twilight, rampollo di una nobile famiglia, orfano di padre e dalla madre gravemente ammalata. L’autrice affronta così un altro dei temi portanti dell’opera, il legame che si viene a creare tra i due giovani e che viene analizzato nel primo capitolo del manga: cosa deciderà di fare il tormentato e dubbioso Edgar per combattere la solitudine, condannerà o no il suo amico al medesimo stato immortale facendolo entrare nella famiglia Poe?
I sette capitoli successivi, di lunghezza che oscilla tra le 50 e le 20 pagine, ci presentano da un lato altri momenti della vita di Edgar in epoche diverse, dall’altro ci mostrano personaggi umani — come Glenn Smith, un cacciatore che si perde nei boschi e si ritrova nel villaggio dei Poe, o la piccola Liddel, una bambina che Edgar salva dai briganti e decide di prendere con sé — che entrano in contatto con il clan, svelando pian piano nuovi dettagli della famiglia e dei suoi membri.
Molti di questi episodi sono dei veri e propri gioiellini, che se non possono contare sul climax vorticoso, a tratti febbrile, dell’incipit, riescono a essere parimenti incisivi e toccare le corde dell’animo di chi legge.
La narrazione non accusa il peso del tempo, si è mantenuta fresca e scorrevole nonostante i densi dialoghi, le numerose didascalie e i monologhi interiori dalla qualità poetica che fissano i pensieri e le emozioni dei protagonisti, vero fulcro dell’opera.
La Hagio crea un’efficace atmosfera gotico-crepusculare attraverso immagini di “repertorio” quali castelli diroccati, ville ricoperte d’edera immerse nei boschi ammantati da nebbia e chiese dagli alti campanili spesso sullo sfondo di una natura in tempesta che riflette e partecipa dei sentimenti dei personaggi.
Graficamente l’opera è altrettanto valida: il tratto dell’autrice è delicato, etereo, ma nello stesso tempo preciso e dettagliato; i personaggi, dai lineamenti gentili e dai corpi esili, presentano una ricchezza espressiva invidiabile e, nonostante abbiano il peso preponderante all’interno della tavola, sono accompagnati da sfondi e ambientazioni più che accurati. Non mancano cornici floreali tipiche dell’estetica grafica degli shojo, tuttavia essi vengono utilizzati in modo non convenzionale e soprattutto non servono a coprire la mancanza degli sfondi. Generalmente la gabbia è costituita da numerose vignette per pagina, che spesso e volentieri cedono il passo a soluzioni più libere e azzardate.
L’edizione italiana è molto buona: il volume ha una solida rilegatura, risulta morbido da sfogliare, presenta una carta di grammatura adeguata, e può contare su un’ottima resa di stampa. È presente la sovraccopertina, le onomatopee non sono adattate.
In conclusione ci troviamo di fronte a un’opera ambiziosa e complessa, in grado di sorprendere ancora oggi chi vi si accosta per la prima volta e che è caldamente consigliata anche a chi, come il sottoscritto, non fa degli shojo una lettura abituale.