The War – Il Pianeta delle Scimmie – Recensione

Pubblicato il 16 Luglio 2017 alle 21:26

La guerra tra le scimmie e gli umani continua. La filosofia pacifista di Cesare ha causato una frattura all’interno delle scimmie, alcune delle quali si sono unite all’Alfa-Omega, l’unità militare umana guidata dallo spietato Colonnello. Deciso a vendicare un terribile massacro, Cesare si avventura con alcuni compagni alla ricerca del leader avversario. Strada facendo, prendono con loro Nova, un’orfanella umana.

Stiamo vivendo un periodo di devoluzione culturale nel quale buona parte del pubblico e della critica si accosta alle opere cinematografiche esaltando contenuto, sceneggiatura, trama e tematiche trascurando la componente più importante, l’elemento formale, l’uso del mezzo cinematografico. Non la storia ma il modo in cui la si racconta.

A proposito di The War – Il Pianeta delle Scimmie, capitolo conclusivo della trilogia prequel di questa lunga saga iniziata nel 1973, si dirà che siamo finalmente di fronte ad un blockbuster che unisce alla componente ludica lo sviluppo di tematiche universali e riconducibili, si dirà che i personaggi sono ben sfaccettati, si sottolineeranno gli archetipi ed i topoi narrativi già evidenti per chi ha un po’ di pelo sullo stomaco. Tutto vero, tutto bello e tutto giusto.

C’è il metaforone sociopolitico che rimanda all’America di Trump, efficace seppure già in via di abuso. C’è la dicotomia tra le scimmie evolute e gli umani devoluti con tanto di pretesto fantascientifico neanche troppo necessario a giudicare dalla realtà che ci circonda. L’arco narrativo del protagonista Cesare viene portato a compimento nella maniera più giusta ma anche più prevedibile. Tutto presentato attraverso dinamiche narrative classiche spalmate su una struttura semplicissima.

Ma, allora, se non ci dice nulla di davvero nuovo, perché si tratta di un grande film? Perché è cinema allo stato puro. Matt Reeves, già autore del precedente episodio e regista del prossimo film su Batman, ha messo sullo schermo due ore e venti di spettacolo che, ad eccezione di un paio di inevitabili spiegoni, potrebbe essere fruito senza audio tanto la narrazione è lasciata alle immagini, alle azioni e alla mimica corporea dei personaggi.

Rispetto agli episodi precedenti, la stragrande maggioranza dei personaggi è composta da scimmie, rese dallo stato dell’arte della motion capture. A parte i soldati che stanno lì sullo sfondo a fare numero, i personaggi umani sono soltanto due. La piccola Nova è muta. Quindi deve, per l’appunto, comunicare a gesti e con l’espressività dei suoi occhioni azzurri. Il Colonnello Woody Harrelson rimanda in maniera inevitabile al Marlon Brando di Apocalypse Now, capolavoro peraltro citato esplicitamente nel corso del film.

Si parte fortissimo con una battaglia adrenalinica che desta subito l’attenzione, la tensione si allenta con un tenero momento intimista prima di una mazzata allo stomaco con una svolta tragica che farà da motore emotivo per il prosieguo. Appena venti minuti di film ed il pubblico è già catturato.

Reeves si rifà all’epica cinematografica di ampio respiro, mescola i generi, guerra, western, azione e avventura e vira sul crudo dramma carcerario nella seconda parte, mantenendo costantemente un tono drammatico, cupo, che ha come lievissimo elemento comico solo l’anziano Scimmia Cattiva.

Senza il dramma non c’è tragedia, senza tragedia non c’è epica. In tal senso l’impalcatura è solidissima e sono esclusivamente l’occhio registico e la colonna sonora di Michael Giacchino ad esprimere pura potenza emotiva negli apici narrativi, alla faccia di dialoghi ed intrecci tanto in voga al momento. Riconciliarci con la natura primordiale del cinema è l’evoluzione di cui abbiamo bisogno.

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