Recensione – Bedevil: non installarla, dei fratelli Vang

Pubblicato il 29 Giugno 2017 alle 15:00

Nella loro prima prova col cinema della paura, Abel e Burlee Vang confezionano un horror giovanile dalla premessa interessante che purtroppo finisce irrimediabilmente con lo scadere nel banale.

L’anno scorso l’estate è stata una delle migliori che si siano mai viste in Italia per qualità di opere horror, con tre capolavori che uscirono uno dietro l’altro (It Follows, The Neon Demon The Witch) accompagnate dall’ottimo thriller di Fede Alvarez Man in the Dark. 

Purtroppo i libri di storia non potranno dire la stessa cosa dell’estate 2017, che parte male col primo lungometraggio horror dei fratelli indonesiani Abel e Burlee Vang, Bedevil – Non Installarla. 

Ultimamente la tendenza del filone horror è quella di ricercare la paura all’interno della sfera tecnologica: film come Unfriended Friend Request partono dal concept del social network per mettere a rischio le vite dei propri protagonisti, e sulla carta l’idea funzionerebbe anche, soprattutto oggi che la nostra società si regge letteralmente sulla potenza della tecnologia e non avere più il controllo di quella tecnologia rappresenta una terribile eventualità. Del resto, Terminator docet.

E infatti Bedevil, più che dai social dei film succitati, parte dall’idea di un’intelligenza artificiale per cellulari, che qui però è corrotta, maligna e crudele e causerà non pochi guai ai protagonisti del film. Una Siri versione demoniaca, per farla breve.

Guardate, il film è abbastanza insignificante tanto a livello di pathos quanto a livello di sceneggiatura, e pesca a piene mani da tutto ciò che è venuto prima (l’inizio è Scream, il mostro che rende reali le paure dei protagonisti è It, c’è Nightmare, c’è James Wan, c’è di tutto e di più, e il di più è il pessimo design del demone, che sembra il figlio di un’unione incestuosa DC-Marvel perché ha il ghigno del Joker e gli artiglioni di Lady Deathstrike), ma a tratti si dimostra anche piuttosto intelligente e delicato nel trattare temi forti come il razzismo, il lutto e il sesso giovanile.

E i giovani attori (su tutti Saxon Sharbino, ma anche Mitchell Edwards e Brandon Soo Hoo) ce la mettono davvero tutta nel tirar fuori l’emotività dei propri personaggi. Forse il film avrebbe avuto più senso in un contesto da teen-drama, visto che come horror fallisce sotto ogni punto di vista.

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