Recensione – Twin Peaks 3×08: “The Return”, parte otto

Pubblicato il 28 Giugno 2017 alle 15:00

“Questa è l’acqua e questo è il pozzo. Bevi fino in fondo e calati. Il cavallo è come il bianco degli occhi e oscuro all’interno.”

In quello che è senza dubbio il più intimo, inesplicabile, visionario e avanguardista episodio di Twin Peaks, David Lynch si lancia in una deriva surreale che è sia l’Alfa sia l’Omega della sua poetica unica e affascinante. Tra incubi, sogni, noir, astrattismo ed espressionismo, The Return parte 8 è un essere vivente che si evolve e muta di continuo, un serpente che cambia la propria pelle, uno stato metafisico che reinventa la Creazione, intesa e come nascita di un universo e come scintilla di un’idea.

E’ una cosa che non avete mai visto prima, e che difficilmente rivedrete in futuro. E’ la roba più artistica che sia mai andata in onda in televisione.

La fuga del Cooper malvagio e del collega Ray Monroe prende una piega inaspettata quando, in un diverbio, i due provano ad uccidersi a vicenda. Con uno stratagemma è Ray ad avere la meglio, ma quando il Cooper malvagio rovina in terra spiriti evanescenti della Loggia Nera compaiono intorno a loro: davanti ad un terrorizzato Ray, che fuggirà senza guardarsi indietro, i fantasmi compiranno un ambiguo rituale di sangue al termine del quale BOB verrà estratto dal corpo di Cooper, che tornerà in vita poco dopo (vedremo se ciò sancirà il ritorno del Cooper buono).

Lo spettacolo dei Nine Inch Nails al Roadhouse taglia in due l’episodio, separando il prima (la narrazione lineare della trama principale) dal dopo (la lunghissima sequenza artistica) e assumendosi l’ingrato compito di provare a fornire una chiave interpretativa per l’intero episodio (“Diffondi il contagio dove spargi il tuo seme”, “Una boccuccia aperta dall’interno”, frasi che evocano immagini che ci stanno aspettando nei minuti successivi).

Da qui, poi, ci spostiamo nel New Mexico, nel 1945. Il primo test nucleare della storia (già vista nel quadro appeso nell’ufficio di Gordon Cole) è la scintilla che innesca un misterioso viaggio fra le nebbie di visioni orrorifiche e dimensioni sconosciute. Qui è dove viene data forma al Male, prima che esso venga vomitato nel nostro mondo.

Lynch pesca a piene mani dalla mitologia che lui stesso ha creato: i deserti e i sentieri anonimi e senza fine di Strade Perdute, le figure inquietanti e i teatri di Mulholland Drive, le atmosfere di Inland Empire e di Eraserhead.

Verrà citato anche IT di Stephen King (la Genesi di BOB ricorda molto quella del celebre mostro letterario) e sarà omaggiato Shining di Kubrick con i violini distorti e stridenti simili a grida soffocate della Trenodia per le Vittime di Hiroshima (colonna sonora del mitico film horror con Jack Nicholson) scritta dal compositore polacco Krzysztof Penderecki. Una scelta eccellente e calzante che serve anche a contestualizzare i test nucleari: non solo divengono la causa della nascita della Loggia Nera, ma di lì a qualche anno getteranno sul mondo la devastazione dell’atomica (è sempre l’uomo la causa di ogni forma maligna).

Questo è quello che era lecito aspettarsi dalla creazione di Lynch, un artista ormai giunto al termine del proprio percorso creativo che per l’ultima volta torna a sconvolgere, a rapire, a stregare. A cambiare le regole del gioco, soprattutto, destrutturando completamente le forme tradizionali del racconto, così fortemente instaurate nella cultura popolare moderna, lasciando un segno indelebile nella Golden Age della televisione.

Quella Golden Age la cui origine alcuni fanno risalire all’originale Twin Peaks. Quella Golden Age che da oggi è cambiata per sempre, di nuovo.

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